Condominio occidentale

Condominio occidentale – di Alessandra Fantinel

Nel 2008 un caro collega, che oggi non c’è più, mi parlò di un libro di Paola Musa. Mi procurò una copia con dedica della scrittrice, traduttrice e poetessa, che ha origine sarde. Il libro editto da Arkadia Editore dal titolo “Condominio Occidentale”, fu selezionato al Festival du Premier Roman de Chambéry e al “Premio Primo Romanzo Città di Cuneo”. Una storia che mi colpì profondamente e a cui continuai a pensare anche negli anni successivi.   

Qualche sera fa mi sono imbattuta nel film “Una casa nel cuore”, mandato in onda da Rai 1 nel 2015, diretto da Andrea Porporati, con protagonista l’attrice Cristiana Capotondi. Mentre lo guardavo pensavo di aver già incontrato questa storia. Ricordavo il titolo del libro e poi con un po’ di ricerche, la rete in questo senso è di facile e veloce supporto, ho riavvolto i fili.   

E’ la storia di Anna una giovane donna e madre, che vive a Roma in una bella casa con un marito e una figlia undicenne, Aurora. 14 anni prima decise di abbandonare il lavoro extrafamigliare per dedicarsi a sua figlia e alla famiglia, su suggerimento del marito. Un marito protettivo (leggi possessivo), interessato all’immagine di sé come uomo d’affari con famiglia perfetta. Anna abbandona la sua vita professionale concentrandosi sul soddisfacimento dei bisogni della sua famiglia ristretta: nel film non sono presenti parenti o amici di vecchia data. C’è solo un riferimento alla madre probabilmente deceduta, di cui conserva un monile (una collana) che regala alla figlia come simbolo di protezione. Anna si ritrova improvvisamente sola (o forse lo era da anni): il marito scompare e lei scopre che l’agenzia immobiliare a lui intestata era chiusa da mesi. Il marito la lascia senza un soldo, azzerando il conto in banca, un importante affitto mensile da pagare nonché un debito di oltre 200 mila euro: lo scopre a seguito di un’irruzione avvenuta nel cuore della notte da parte di due creditori-malviventi. Anna è costretta a svendere i mobili della casa, i quadri e altri elementi di pregio per poter vivere, fino a quando le danno lo sfratto. Si trasferisce in una pensione ma anche da lì, non trovando un’occupazione, è costretta ad andar via e a dormire in macchina …. I suoceri si rifiutano di accoglierla in casa in quanto la ritengono “la causa” della sparizione del figlio e della sciagura economica della famiglia. La accusano di aver scelto di “fare la signora”, senza mai guadagnarsi un euro. E’ così costretta a dormire in macchina, arrabattandosi per evitare i pericoli della strada: le rubano pure le valigie!

Timorosa che possa succedere qualcosa alla figlia, decide di rivolgersi ai servizi del Comune per avere una casa popolare. Entra in contatto con un’associazione dove  un impiegato la aiuta nel disbrigo delle pratiche e nel frattempo la presenta all’Imperatore Augusto – un uomo che gestisce una casa sul Tevere. La dimora temporanea, il condominio occidentale, accoglie chi non ha un tetto sopra la testa ed è in attesa di una casa popolare. Un gestore – padre di tutti/e che cerca di far capire loro che la miseria materiale non deve trasformarsi in morale. Un luogo in cui le regole di comportamento sono chiare e condivise. Un ambiente promiscuo, freddo e poco confortevole ma umanamente accogliente e protettivo. Anna scopre il valore della solidarietà, dell’amicizia e si rimette in moto. Si attiva nella ricerca di un lavoro, mediando con la figlia stanca di questa situazione precaria. Tanto che, ad un certo punto, la bambina scappa e viene trovata dalle forze dell’ordine. Viene emesso un ordine di affido provvisorio: Aurora va a vivere dalla sua migliore amica e compagna di classe.

Anna, sconvolta dalla perdita subìta, motivata dalla nuova famiglia, cerca di  migliorare la sua posizione: solo così potrà riavere sua figlia. Dopo un brutto temporale che travolge la casa sul fiume, la grande famiglia fa appello alle istituzioni che le assegnano una bella e confortevole nuova abitazione. Aurora ritorna da Anna per iniziare una nuova vita.

Il film è drammatico ma il libro, non riportato nella sua integrità, ha risvolti più crudeli. Una storia diretta e terribilmente attuale che presenta elementi di riflessione su numerosi temi sociali.

Il primo è quello della dipendenza di alcune donne dai propri compagni. Cosiddetta dipendenza affettiva: Anna non era forse più innamorata del marito o comunque era insoddisfatta della sua vita, ma non voleva rinunciare alla sicurezza emotiva e finanziaria acquisita. Non è retaggio del passato, sono ancora tante le persone, tante donne, che hanno fatto o fanno questa scelta. Quella di dedicarsi alla famiglia rinunciando alla propria autodeterminazione. Se è una scelta autonoma, condivisa e concordata nel rispetto delle parti, tanto di cappello! In questi casi la critica sarà rivolta alle istituzioni che non tutelano abbastanza chi opta per questa importante decisione. Diverso è quando la scelta avviene per senso di colpa, dovuto al fatto che la cultura preponderante ritiene che un/una bambino/a debba essere cresciuto/a dalla mamma, e sottolineo dalla mamma, anziché “abbandonato/a” in un nido dell’infanzia o ad una baby sitter. Anche perché spesso queste strutture o soluzioni sono economicamente svantaggiose e quindi risulta “naturale” che sia la donna a dover rinunciare al suo lavoro e quindi alla sua autonomia finanziaria: perché lavorare se poi il mio stipendio devo darlo al nido o ad una baby sitter? L’immagine della donna/mamma che sta a casa, ad accudire tutto e tutti, è quella più promettente. Solo così si pensa che le cose possano andare bene. I figli cresceranno più controllati ed educati, mangeranno cibi più sani e saranno meglio seguiti nel percorso scolastico. Ogg non per tutti è così: il rispetto della donna, mamma, moglie e lavoratrice è un cardine della vita di molte famiglie, forse sempre di più. Sono spesso gli uomini a spingere le loro compagne a completare gli studi, a specializzarsi, a rendersi autonome e/o ne rispettano la loro vita non chiedendo loro cambiamenti radicali e contribuendo a realizzare una vita familiare basata sul rispetto e sulla equa distribuzione dei compiti. Mi è piaciuto l’insegnamento della mamma di Lilli Gruber, raccontato nel suo libro “Il potere delle donne contro la politica del testosterone. Basta!”, dove raccomandava alle figlie di “conquistare una solida autonomia economica, perché nessuno potesse mai controllarci e comandarci”.  

Eppure esistono ancora tanti mariti come quello di Anna, anche nelle giovani generazioni, nonostante abbiano almeno sentito parlare di rivoluzione sessuale e culturale, di pari opportunità, di pari diritti e pari tutele.

Emerge anche un’altra tematica: la perdita di una situazione di apparente benessere. La povertà materiale. Mi capita spesso di pensare se, di punto in bianco, perdessi il mio lavoro e le mie “cose”. Ovviamente non voglio entrare nella questione di perdere le persone o la salute, temi troppo importanti e che preferisco non citare.

Voglio parlare di materialità: perdere ciò che pensavamo di avere per sempre. Perdere il lavoro, la casa come Anna e/o non avere più soldi per soddisfare i bisogni quotidiani del mangiare e bere. Perdere il posto dove tutte le sere rientri e ti senti al sicuro, non sapere dove andare, esporti al pericolo e agli aguzzini. Sì perché Anna non riusciva a fidarsi dell’impiegato che la aiutava, pensava che volesse qualcosa in cambio. Quindi subentra una sfiducia nel prossimo e in sé stessi. Non lavorava da 14 anni, si è scontrata con la concorrenza di persone più giovani e più preparate, e pur di sopravvivere ha messo da parte il suo diploma linguistico, una buona padronanza delle lingue inglese e francese, accettando di fare la colf.

Gli equilibristi

Stesso scenario nel film “Gli equilibristi”, di Ivano Di Matteo con Valerio Mastrandrea, del 2012. Il “povero” è Giulio, quarantenne, padre, marito, dipendente pubblico che dalla situazione affettiva ed economica stabile passa alla condizione di grave difficoltà. Una casa in affitto, un posto fisso, un’auto acquistata a rate, due figli (una adolescente e un bambino), una moglie che ama e che tradisce. L’infedeltà fa crollare la sua favola. Giulio lascia la casa alla ex moglie e ai figli e cerca di ricostruirsi una vita a partire dalla ricerca di una nuova abitazione. Gli elevati prezzi e le crescenti esigenze della famiglia lo portano a cercare un secondo lavoro (in nero) e comunque a non riuscire ad arrivare alla fine del mese. Da uomo, padre, marito accudente si trasforma in persona triste, distante e depressa. Vive in macchina e mangia presso un’associazione di volontariato. Un altro esempio di povertà.  

La povertà è l’elemento centrale di queste storie. Una povertà improvvisa e imprevedibile.


Il condominio occidentale esiste ed è sempre più presente nelle nostre città: però i poveri non sono una entità indistinta, ogni persona ha la sua storia e la sua particolarità. Eppure ci dimentichiamo, guardiamo dall’altra parte, facciamo finta che non ci appartenga. Invece la povertà è nostra vicina di casa: probabilmente come Anna e Giulio non pensiamo possa mai capitare a noi! Povertà materiale ma anche povertà di valori. Noi viviamo in una società basata sul consumismo ma la povertà non è solo l’impossibilità di acquistare beni materiali. Siamo poveri anche quando viviamo nella solitudine imposta non scelta, senza valori, senza rispetto. E Anna e Giulio si ritrovano soli: gli amici e le amiche, i parenti, non si accorgono della loro grave situazione o fanno poco per aiutarli in quella fase della vita.

Cosi scrisse Paola Musa nel 2008 quando ottenne il riconoscimento del Ministero della Solidarietà Paolo Ferrero:

La povertà è un fenomeno complesso e sfaccettato, che paradossalmente si sta diffondendo silenziosamente nelle società del benessere, dove solo apparentemente tutto è a portata di mano. E’ un fenomeno trasversale e difficile a volte da debellare, ma di cui spesso siamo responsabili anche con i nostri comportamenti, più orientati a soddisfare i bisogni superflui, trascurando quelli profondi e imprescindibili nella comunità umana”.

La povertà è un elemento della vita, come la malattia, la solitudine, la gioia, la soddisfazione e la sconfitta: è una condizione presente, diffusa e deve essere rispettata. Ecco che la definizione di condominio occidentale bene inquadra la condizione attuale: dove la povertà, l’emarginazione, la solitudine sono nostre vicine di casa. Più vicine di quelle che pensiamo o che siamo disposti a credere, perché è difficile ammettere che l’altro o l’altra in un qualsiasi momento della nostra vita possiamo essere noi.