GNK Dario Salvetti

Dario Salvetti, la GKN, Ottolina

Conosco Dario Salvetti da quando, giovani comunisti, abbiamo provato a rifondare il comunismo. Era un impegno a tempo pieno, eravamo rivoluzionari di professione, anche se nessuno ci pagava. Prendevo la nave per andare a Roma alle riunioni, spesso viaggiavo da solo e dormivo in alloggi di fortuna, ma stavamo creando i giovani comunisti.

Non ero maggiorenne, non c’erano i cellulari (per come li usiamo oggi), chissà se oggi tutti quei movimenti su e giù per la Sardegna e l’Italia, a 16 e 17 anni, verrebbero accettati da un genitore.

Dario era un punto di riferimento, anche se era irreggimentato in una componente molto strutturata.

Per anni ci siamo frequentati, molto alla lontana, ma poco più di dieci anni fa, quando ho avuto bisogno di stare a Firenze da lui, le porte si sono aperte, e mi ha fatto fare un giro per la Firenze proletaria.

Dario Salvetti è rimasto un rivoluzionario di professione. Ho seguito la vicenda GKN da lontano, ed ho ascoltato attentamente l’intervista ultima di Ottolina TV (vi consiglio di seguirla).

GNK come emblema del fallimento dell’Italia.

Perché non ce lo dobbiamo dire? Perché fare ancora finta che ci sia una politica industriale, una politica di riconversione economica sostenibile, che contrasti i cambiamenti climatici?

I lavoratori sono schiacciati, e le sacche di resistenza, come la GKN, vanno sostenute in tutti i modi.

I sindacati, dispiace dirlo, svolgono o un ruolo di retroguardia, o un ruolo di conservazione dell’esistente, che punta appunto quanto meno a difendere l’esistente, ma mai ci riesce.

Dario Salvetti, con un coraggio enorme, insieme a tanti altri ha eretto il fortino GKN.

Se fossi stato in zona sarei andato alla manifestazione.

Da qua, dalla Sardegna, a noi sta il compito di costruire reti solidali con queste realtà, consapevoli che siamo un’altra cosa e viviamo un’altra condizione. Sebbene interni alla stessa cornice amministrativa ed allo stesso contesto normativo, la strutturazione del capitalismo sardo è completamente diverso da quello italiano.

Convivono in Sardegna, come annotato anche da “Entula”, qualche settimana fa, un capitalismo predatorio a proiezione esterna, presente nel settore indsutriale classico (petrolio, fabbrica di bombe, Fluorsid) e poi un consistente numero di microimprese, che lavorano e si relazionano con il mercato locale, nelle quali vige l’autosfruttamento e (spesso) lo sfruttamento delle lavoratrici e lavoratori. Il settore primario ha caratterizzazioni del tutto particolari.

Vi sono poi alcune aziende, dell’agroindustria ma soprattutto legate all’ICT, che potrebbero essere una borghesia locale produttiva in fieri. Ma siamo lontani da una massa critica adeguata.

Completano il quadro un po’ di aziende medio-grandi attive nell’edilizia, che vivono a cavallo tra commesse pubbliche e sfruttamento del territorio.

Viviamo, in altri termini, in un territorio internamente colonizzato dal capitalismo italiano, e sfruttato dal capitalismo internazionale, col beneplacito dello Stato, che a sua volta vede in senso estrattivo il territorio (basi militari, distese di pale eoliche).


Abbiamo bisogno, per un contesto diverso, di quella temperie, che io e Dario conoscemmo a 16-17 anni e che, in fondo, mai ci ha abbandonato. Il potere, quello vero, è potente per definizione. Insieme siamo una potenza, e già due/tre granelli insieme possono fare la differenza, anche solo per dimostrare a chi sta vicino a noi che ci siamo, lottiamo, siamo vivi.

Solidarietà al collettivo GKN.