aide esu

La Sardegna come un’isola del Pacifico a stelle e striscie? Note sull’ultimo libro di Aide Esu

E’ disponibile da qualche settimana l’ultima pubblicazione in lingua italiana di Aide Esu, docente di Sociologia dell’Università di Cagliari. Il volume, dal titolo “Violare gli spazi – Militarizzazione in tempo di pace e resistenza locale” è edito da Ombre Corte, di Verona.

Il libro è denso nei contenuti e nei riferimenti, con uno stile anglosassone, che lascia poco spazio alla riflessione personale ed al momento dialogico, seppur scritto.

Il tema è centrale per la vita delle sarde e dei sardi, per la loro storia recente e per le loro prospettive future, anche se accuratamente accantonato dalla politica dei palazzi, che sa che chi si mette in testa di affrontare la militarizzazione della Sardegna mette a rischio la propria personale carriera politica[1].

Esu offre un quadro chiaro, minuzioso, al quale non si può scappare.

“Sotto il profilo metodologico questo studio si basa su un’analisi delle fonti istituzionali, e su materiali originali di ricerca qualitativa condotta in un arco temporale di 8 anni”.

Il libro è strutturato in quattro capitoli, legati tra di loro ma compartimentati per temi: militarizzazione e costruzione del consenso, politiche dell’incertezza, isole e militarizzazione, proteste, resistenza e azioni dirette.

Un tema trasversale, centrale almeno sino a venti anni fa nella vicenda della militarizzazione, e nell’intera vicenda sarda, è l’utilizzo della dicotomia “tradizione/modernità”, con la modernità che significa accettare la militarizzazione, che porta ricchezza, servizi, benessere[2]. Sino a qualche decennio fa le lotte contro la militarizzazione della Sardegna, che ebbero luogo, talvolta anche con una partecipazione di massa, erano legate a grandi organizzazioni politiche, che rispondevano anche a logiche di posizionamento internazionale.

Una eccezione, che fu anche un momento-spartiacque, fu la lotta (vittoriosa) di Pratobello del 1969.  Ed infatti Esu sostanzialmente suddivide la storia del movimento contro la militarizzazione della Sardegna in tre fasi: la prima dal dopoguerra a Pratobello, la seconda da Pratobello ai primi anni duemila, e la terza è quella attuale, dei movimenti “no-bases”. Questa ultima fase è anche quella in cui, grazie ai processi, ad una diversa postura della stampa e dei media, ma non solo, la narrazione sulla positività delle base viene intaccata. Il senso comune si modifica[3].

Nel 2018, per esempio, “la relazione finale della Commissione parlamentare sull’uranio impoverito richiama la necessità di mitigare la presenza militare nell’isola attraverso una pianificazione di riduzione della presenza militare nell’isola entro i 3 mesi dall’approvazione della relazione. Questo contenimento avrebbe dovuto comportare la progressiva riduzione delle aree soggette a servitù militare, la dismissione dei Poligoni di Capo Teulada e Capo Frasca, la riqualificazione del PISQ”[4].

Oggi, a distanza di sei anni, queste posizioni sembrano impensabili. La “terza guerra mondiale a pezzi”, nella quale siamo immersi, e la complicità italiana nel genocidio del popolo palestinese, rende impensabile, per la totalità dello scenario politico e mediatico, anche solo pensare di progettare una riduzione della presenza militare.

Ricordiamo che, chiaramente, quella relazione fine della Commissione non portò a nulla.

Il libro di Esu parte, con informazioni precise, dal secondo dopoguerra, ed arriva sino a oggi ed al movimento “no-bases” di Aforas.

Un aspetto giustamente centrale in ogni capitolo del libro è il continuo tentativo, riuscito fino ad oggi, di insabbiare, nascondere, instillare dubbi, mistificare, rendere incerto, ogni ragionamento sulla militarizzazione della Sardegna. Per esempio, sulle questioni sanitarie, “La non visibilità e l’inesistenza di un registro regionale tumori sono i due strumenti su cui fanno leva le autorità militari per minimizzare ogni relazione tra ambiente e salute”[5].

Sugli effetti demografici ed economici della militarizzazione della Sardegna diversi studi si sono soffermati, ma non sono mai stati popolarizzati[6].

Un elemento particolarmente interessante è l’inserimento dell’oggetto di studio all’interno degli “island studies”, collegato alle dottrine militari statunitensi:

“Isole della vergogna, così David Vine (2015) definisce gli insediamenti statunitensi delle oltre 800 isole di cui dispongono gli Stati Uniti per le attività militari, la logistica e test sugli armamenti. La Sardegna può, anch’essa essere definita un’isola della vergogna al centro del Mediterraneo. Cosa la unisce alle isole del Pacifico? Al di là della dimensione e della localizzazione continentale, le isole sono apparentate da un disegno istituzionale che, a partire dal 1956, si è espresso nella dottrina definita Strategic island Concept. Un disegno che identifica le isole del Pacifico e dell’Oceano Indiano meritevoli di attenzione prima che i movimenti di autodeterminazione consolidino la loro autonomia. Una modellizzazione estesa poi ad altre aree geografiche a partire da alcuni principi fondamentali quali acquisizioni dei diritti per potersi insediare, essere scarsamente popolate e distanti dalla terraferma (Vine e Jeffrey 2009, p. 185).

Gli arcipelaghi offrono indubbi vantaggi addizionali, per esempio dispongono di spazi aggiuntivi ed interconnessi per differenziare le attività funzionali agli scopi addestrativi, al testing e al controllo logistico. Ma, come ci ricorda Davis (2015) riferendosi all’esperienza delle isole del Pacifico, sono anche luoghi di violazione dei diritti politici ed umani e di inquinamento diffuso. Sotto questo profilo la Sardegna concretizza il modello ideale Mediterraneo, una grande isola scarsamente popolata e distante dalla terra ferma, con un arcipelago già sede storica di insediamenti militari”[7].

La pianificazione della presenza coloniale militare in Sardegna torna anche in altri aspetti esaminati dal libro, non strettamente legati agli statunitensi, ma comunque dai tratti modernizzatori-coloniali, come la capacità del Ministero della Difesa italiano di conquistare gli abitanti di Perdasdefogu con la fornitura di servizi, nonché di regalie.

Sardegna portaaerei USA e NATO del Mediterraneo, insomma, collegata nel suo essere “isola della vergogna” allo “Strategic island concept” statunitense.

Ma le resistenze, le proteste, e le azioni ci sono, ed il libro le copre egregiamente nell’ultimo capitolo, partendo anche in questo caso dal dopoguerra, per arrivare all’ultimo ciclo (lungo, che raccoglie al suo interno alcuni cicli brevi) cominciato nel 2014 con la massiccia manifestazione di Capo Frasca, la cui partecipazione si avvantaggiò sia di un incendio che settimane prima ebbe luogo a Capo Frasca a seguito di esercitazioni, sia di un conseguente martellamento mediatico da parte del gruppo editoriale Unione Sarda per partecipare alla manifestazione stessa. Il ciclo del 2014 ebbe un apice nel 2015, con la manifestazione di Teulada, per conoscere alterne vicende, che lo portano sino ai giorni nostri.

Il libro di Aide Esu inserisce la vicenda umana di chi vive la Sardegna di oggi e sente la militarizzazione, poiché la vive quotidianamente o perché ha imparato a riconoscerla, dentro paradigmi conoscitivi “liberatori” ed all’interno di una dimensione internazionale “geopolitica” che rende chiaro i termini della questione, demistificando in modo magistrale la decennale mistificazione tecno-politica-militare.



[1] Gian Piero Scanu, già sindaco di Olbia, presidente della Commissione uranio della XVII legislatura, di cultura democristiana ed appartenenza politica PD ha pagato caramente il suo lavoro parlamentari sulle basi militari sarde (non è stato ricandidato). L’ex senatore Roberto Cotti, dei Cinque Stelle, ugualmente. Andando più indietro nel tempo, il coraggio di Renato Soru, che da governatore della Sardegna chiese un riequilibrio del fardello militare che l’Italia aveva assegnato alla regione amministrativa Sardegna, fu un elemento importante della resistenza che contro di lui misero in campo ampi settori della società sarda, anche “democratica”.

[2] Cfr., anche citato da Aide Esu, Alessandro Mongili, Topologia postcoloniali- innovazione e modernizzazione in Sardegna, Condaghes, Cagliari 2015.

[3] Già la “Relazione Scientifica” del Progetto di Ricerca finanziato dalla LR 7/2007, dal titolo “PISQ – Analisi controfattuale e valutazione del rischio sull’area interessata dal Poligono Interforze del Salto di Quirra” aveva evidenziato come il “consenso” verso il PISQ, a parte gli abitanti del comune di Perdasdefogu, fosse basso. https://people.unica.it/quasizero/valutazione-socio-economica-della-presenza-del-poligono-interforze-del-salto-di-quirra/

[4] Aide Esu, Violare gli spazi – Militarizzazione in tempo di pace e resistenza locale, Ombre Corte, Verona 2024, p. 41

[5] Idem, p. 64

[6] Cfr., per esempio, Fernando Luigi Codonesu, Servitù militari – modello di sviluppo e sovranità in Sardegna, CUUEC, Cagliari 2013

[7] Aide Esu, Violare gli spazi – Militarizzazione in tempo di pace e resistenza locale, Ombre Corte, Verona 2024, p. 68