elezioni 2024

Sulla Sardegna, le questioni istituzionali, la campagna elettorale. Una ricerca

Si voterà il 3 marzo 2024. Mancano due mesi e mezzo alla presentazione delle liste, quattro alle elezioni, ed a nessuno interessa avanzare un ragionamento compiuto sulle questioni istituzionali, ma anche su molto altro.

Ieri abbiamo avuto l’affronto, in un periodo in cui il Mediterraneo è pieno di navi da guerra, di vedere centinaia di bambine e bambini cagliaritani col cappellino delle forze armate e la bandierina dell’Italia che festeggiavano il 4 novembre.

Alla faccia della cultura della pace, della “Italia che ripudia le guerra” e della diplomazia. Alla faccia della specialità sarda.

A chi governa, a chi fa politica in consiglio regionale, dello Statuto e dei poteri veri che possono esercitare interessa davvero poco.


Nel mio piccolo sono convinto che i sardi possano salvare se stessi se ripensano il proprio ruolo politico nel mondo, partendo dall’Italia e passando per l’Europa.

Lo Statuto è antico, superato, e così l’autonomia.

Allo stesso tempo, penso che non voglio inventare l’acqua calda e, allora, in questi mesi ho compiuto una ricerca compilativa sulla “Assemblea Costituente Sarda. La storia di una idea”. Ve la propongo.

Buona lettura.





L’Assemblea Costituente Sarda. La storia di una idea

Sommario

Premessa.

Introduzione.

Chi usa per primo il termine?

I federalisti dei primi anni novanta.

L’assemblea dei Cento.

Il Congresso dei Sardi e Tramas de Amistade.

Il Movimento per la Costituente.

La legislatura di Renato Soru.

La consultazione referendaria sull’Assemblea Costituente.

2014-2022. Il grande freddo.

L’autonomia differenziata ed il balbettio.

Conclusioni

Bibliografia, sitografia e archivi

Premessa

Questo scritto, prettamente compilativo e propedeutico ad altri studi, nasce in una fase in cui la Fondazione Sardinia, dopo aver scritto e studiato la Sardegna, riflette su sé stessa e progetta di rilanciarsi e strutturare sia un ricambio generazionale sia un allargamento delle proprie maglie.

Riannodare i fili della idea di Assemblea Costituente Sarda (ACS) e del suo inveramento nella battaglia culturale e politica sarda degli ultimi 30 anni, assume, quindi, una importanza particolare e ulteriore, in quanto la Fondazione Sardinia è stata in prima fila nella elaborazione del tema sin dalla sua nascita, nei primi anni novanta.

Se si consulta il motore di ricerca “BiblioSar”, dove si trovano le monografie e qualche spoglio posseduto dalle librerie sarde, e si digita “ACS” o parole simili, non risulta nulla, o quasi. Nessuno, o quasi, ha studiato le proposte di Costituente sarda. La Sardegna non riflette e non studia sé stessa. Anche questo è un enorme dato che va ancora una volta approfondito e spiegato.

Esso conferma ulteriormente sia l’opportunità di questo contributo che dell’esistenza della Fondazione Sardinia.   

Introduzione

L’assemblea costituente è un fenomeno delle società moderne – comunemente la sua origine si fa risalire alla rivoluzione francese[1] – che si pone sulla frontiera dei fenomeni governati dal diritto. È un evento che nasce spesso da processi giuridici, regolati cioè mediante il diritto, ma non sempre è così e quasi sempre ha una dose, più o meno forte, di irruzione nel campo del diritto di fenomeni extra-giuridici.

Per fortuna il diritto non è un mondo chiuso e uguale a sé stesso per sempre.

L’assemblea costituente è l’affermarsi di un soggetto che, per il fatto stesso che lo afferma e riesce ad imporsi, emana norme che irrompono nello spazio giuridico di riferimento.
Essa può svilupparsi inserendosi nel normale percorso legislativo, come si è tentato di fare (finora) in Sardegna, oppure stravolgendo il contesto normativo precedente. L’assemblea costituente più famosa, quella francese del 1789, risponde a questo seconda categoria.

L’idea e la proposta di ACS, di cui proveremo a delineare velocemente la storia, è l’affermazione del popolo sardo che, usando i poteri derivategli dalla Costituzione e dallo Statuto di autonomia, decide di riscrivere, all’interno dei principi della Costituzione italiana, il suo rapporto con l’Italia e con il resto del mondo.

È l’affermarsi, definitiva, di una soggettività che, a differenza della Costituente italiana del 1948, decide di agire per conto proprio e di farlo in modo democratico, pacifico, aperto, inclusivo.

La necessità della ACS nasce dal giudizio negativo riguardo sia i rapporti storicamente sviluppatisi tra Sardegna e resto del mondo, in primis Italia, sia verso i contenuti sostanziali dello Statuto di autonomia.

Ponendosi in una ottica costituzionale e non eversiva, l’ACS si sostanzia in una proposta di modifica complessiva, onnicomprensiva, dello Statuto di autonomia approvato dalla Assemblea costituente italiana nel 1948.

In questo breve excursus ci soffermeremo, quindi, sulla ACS e meno sulle proposte di modifica dello Statuto, le quali hanno avuto luogo senza che venisse evocata la necessità di una assemblea costituente.

Come vedremo, l’ACS nacque molto tempo prima che venisse ripresa da alcuni movimenti culturali e politici e metà anni novanta, ed esplose, con momenti fragorosi, sino al 2004, per poi inabissarsi e però riapparire col referendum consultivo del 2012 e successivamente, non tanto sorprendentemente, sparire quasi completamente.

Ma andiamo con ordine.

Chi usa per primo il termine?

Secondo Salvatore Cubeddu[2], che a sua volta cita l’Agenzia Italia, “Il 20 settembre 1979 arriva dal comitato di “Nazione Sarda”, il movimento politico-­culturale che da dieci mesi lavorava per l’autogoverno della Sardegna un appello a tutti i Sardi, residenti ed emigrati, e ai giovani in particolare, ai circoli culturali e alle associazioni popolari, ma anche agli uomini e alle organizzazioni di partito che conservano sensibilità democratica, perché predispongano tempi e modi di una mobilitazione popolare”. Infatti, secondo Nazione Sarda, per fronteggiare il grave e generale stato di pericolo è necessario promuovere “un’eccezionale e tempestiva mobilitazione popolare che porti alla convocazione di un’assemblea costituente con il duplice compito di definire un programma di immediata risposta autonomistica e di formulare uno statuto di autonomia che consenta ai Sardi di liberarsi dalla dipendenza, di esprimere compiutamente la loro identità nazionale e di esercitare, finalmente, l’autogoverno”. “È cioè necessario restituire la parola ai Sardi, organizzare un dibattito che li coinvolga tutti, dovunque si trovino, e che costringa gli organi costituzionali dello Stato al riconoscimento dei diritti autonomistici e, subito, del diritto alla lingua”.

Siamo in un periodo particolare della storia istituzionale e politica sarda. L’impegno politico e sociale degli anni settanta aveva portato, tra i tanti risultati, a un nuovo e massivo impegno per la coufficialità del sardo, ed al progressivo tramonto delle giunte autonomistiche, che segnarono “l’inizio di una fase storica nuova, che coincise con il ‘vento sardista’, che avrebbe portato Mario Melis alla Presidenza della Giunta”[3].

Nazione Sarda era una rivista, guidata da Antonello Satta, che compiva allora un lavoro pionieristico sui temi dell’identità, dell’autonomia, del passato e del futuro della Sardegna.

Per quanto ne sappiamo, furono loro i primi ad utilizzare il termine “assemblea costituente”, affermando implicitamente che il consiglio regionale non bastava più.

Il concetto emerse, ma si inabissò.

Non è questo il luogo per passare in rassegna la Sardegna degli anni ottanta, la giunta Melis e la fine di quella esperienza[4]. Basti scrivere che lo Statuto non si cambiò, nonostante moltissimi ne avvertissero gli scricchiolii, e nessuno utilizzò nuovamente le parole “assemblea costituente” applicate alla Sardegna.

Neanche terminata quella fase storica, il mondo cambiò: cadde il muro di Berlino e, sicuramente in relazione a questo, ma ancora non è pacifico quale tipo di relazione, si affermò nel nord Italia la “Lega Nord”, prima semplicemente “Lega Lombarda”.

In un contesto istituzionale neanche “regionalistico”, quale quello italiano, cominciò l’epoca del “federalismo”, termine largamente utilizzato, anche se mai praticato e realizzato, né a Montecitorio, né a Palazzo Madama, né nelle varie sedi dei consigli regionali. Addirittura divenne senso comune la parola “secessione”.  

I federalisti dei primi anni novanta

In un nuovo contesto, senza i blocchi contrapposti a livello mondiale, in Italia e in Sardegna si poté ragionare sul sostanziale fallimento della architettura istituzionale finora praticata nello Stato italiano: non si era riusciti a colmare il divario Nord-Sud, e da là a qualche mese (ma le avvisaglie c’erano tutte) l’intero sistema dei partiti sarebbe stato seppellito.

In questo contesto Mario Melis, ed i sardisti, nel settembre del 1990 presentarono la “Carta dei Federalisti sardi”[5].

Si tratta di una proposta rivoluzionaria, nel senso che ha l’obiettivo di rivoluzionare il sistema istituzionale. Basti citare la premessa: “La Repubblica Federale Italiana è costituita dall’unione politica delle Regioni storiche di diritto ordinario e speciale e si fonda sulla solidarietà”.

Il documento proposto non ha carattere di organicità, è una proposta politica di discussione, non un disegno di legge di modifica costituzionale.

Non ci risulta che, in quel contesto, sia stata ventilata la ipotesi di una “assemblea costituente”, sarda o italiana, o di entrambe le parti.

Tuttavia, tutto stava cambiando. Per realizzare quanto profondo fosse il senso di urgenza di modifica della cornice istituzionale, anche in ambito sardo, è utile presentare e brevemente discutere la “proposta di legge costituzionale d’iniziativa regionale” presentata dai consiglieri regionali Pubusa, Dadea, Scano, Ladu, Manca, Zucca e altri[6]. La sinistra post-PCI, per intenderci.

“L’articolato si snoda in due titoli, l’uno diretto a modificare la stessa Carta costituzionale, l’altro, più specificatamente, a revisionare lo Statuto Speciale per la Sardegna.

Nel Titolo primo si propone la modifica della Carta costituzionale, onde adeguare gli organi costituzionali al carattere autonomistico dell’ordinamento, a cui si conferisce una fisionomia di tipo federalistico. Così il secondo ramo del Parlamento, il Senato, diventa  Camera delle Regioni; al Presidente della Repubblica si conferisce un ruolo più pregnante di garante della Costituzione anche nei suoi aspetti autonomistici, attraverso una reale legittimazione ordinamentale, con una consistente partecipazione delle Regioni speciali alla sua elezione, oggi invece meramente simbolica; la Corte costituzionale, infine, […] viene integrata nella sua composizione per un terzo da giudici di provenienza regionale”.

Per ragioni di spazio non si riporta il resto delle proposte, importanti quanto quelle citate.

Una riforma sicuramente “costituente”, ma il termine “assemblea costituente” non ci risulta che venga utilizzato.

Comincerà ad apparire, scritto e pronunciato, qualche anno dopo, a metà anni novanta.

L’assemblea dei Cento

L’assemblea dei Cento è un momento politico e culturale, promosso dalla Fondazione Sardinia, che si sviluppò in tre incontri, nei giorni 18 ottobre e novembre 1996, e 18 febbraio 1997. Nelle “Novas dei cento” riemerge il termine “assemblea costituente”.

Prima, però, per inquadrare il contesto istituzionale, è bene citare la “Risoluzione sulla riforma federalista dello Stato e sul nuovo Statuto di autonomia, approvato dalla Commissione Speciale per la revisione dello Statuto” guidata da Salvatore Bonesu, sardista, approvata il 17 luglio 1997.

Il ragionamento sul “federalismo” italiano, assolutamente distorto e incompleto rispetto ad alcuni capisaldi del pensiero federalistico, andava avanti.

La Fondazione Sardinia, intercettando sia un generale senso di urgenza dell’intellettualità, che un travaglio ed una discussione interna al Psd’Az, decise di convocare degli incontri aperti alle migliori energie della politica, dell’intellettualità, del sindacato, dell’imprenditoria, con una  attenzione vera alle giovani generazioni, perché, riprendendo le parole di Bachisio Bandinu, la proposta è “come dare risposte valide a quel teatro dell’assurdo che è [la] nostra esperienza sociale, in politica, in economia, oggi in Sardegna”.

L’analisi della intellettualità e della politica sarda è spietata. Il parterre è variegato, dai documenti non risulta che si arrivi mai a cento, ma si riesce comunque a coagulare una massa critica, dal punto di vista qualitativo e dei ruoli sociali, significativa.

Non è chiaro, al primo incontro, quale sia l’obiettivo. Il 18 ottobre, però, si decide di vedersi il 18 novembre, e si stabilisce che “il dibattito si svilupperà su 3 possibili temi: la questione istituzionale, le prospettive economiche e la situazione culturale. Alla conclusione del dibattito verrà proposta alla discussione l’articolazione degli obiettivi e le conseguenze organizzative”.

Nella seconda riunione appare la “costituente sarda”, nelle parole di Eliseo Spiga, intesa però come momento assembleare e di popolo, decentrato e includente. La seconda riunione, tra le altre cose, si chiude dandosi appuntamento al 7 dicembre 1996 per un seminario sui problemi istituzionali.

Durante il terzo incontro la questione istituzionale diviene centrale nel discorso introduttivo di Bandinu. Il termine “assemblea costituente” non appare.

Sarà un esterno, un non sardista, un sindacalista della UIL, Michele Calledda, a prendere di petto la questione. È una miccia, che viene innescata quel giorno, a 28 anni dall’articolo di Nazione Sarda, e durerà sino al 2012, sino al referendum consultivo sull’Assemblea Costituente. Dopo, il buio. Calledda: “Mi pare di capire che ci sia una contraddizione sulla proposta di creazione di un documento da proporre alla bicamerale. Io credo che non possiamo, dopo che la porta è chiusa, tentare di entrare dalla finestra. […]

Io non penso che un gruppo di Consiglieri regionali che si sono costituiti in gruppo di lavoro o in una Commissione speciale possano portare delle modifiche allo Statuto sardo e riformare le grandi linee, fare le riforme istituzionali in Sardegna, possa essere così rappresentativo da poter produrre una proposta accettabile.

La cosa fondamentale di questo Forum, nel discorso di Bandinu, è la partecipazione della gente, la partenza dal basso e io dico di trovare una forma, un momento costituente. [….]

Questa nuova forma di costituzione della Sardegna Stato o nazione, deve essere affidata al popolo, come iniziativa e non può essere elaborata da un gruppo ristretto di consiglieri regionali”.

Ci sono in questo intervento, che verrà accantonato da Bandinu, le premesse per i futuri ragionamenti sulla ACS.

Il primo elemento è che non deve decidere Roma cosa pensano e fanno i sardi: no all’invio di petizioni a Roma.

Il secondo elemento è che il consiglio regionale non basta.

Il terzo elemento è che un nuovo potere, democratico e non in antitesi con la Costituzione italiana, è quello che afferma il potere costituente dei sardi.

Il seme è piantato, comincerà a crescere qualche anno dopo. Il dibattito si sposterà sulle colonne dell’Unione Sarda, con la direzione di Bachisio Bandinu.

L’anno successivo, il 1998, sono da segnalare la proposta del Psd’Az, nella persona di Lorenzo Palermo, di un nuovo Statuto di autonomia, e la realizzazione del Congresso dei sardi.

Ma sarà con la nuova legislatura, la XII, cominciata il 20 luglio 1999, che prenderà il via il Movimento per la Costituente. Prima, però, occorre segnalare due iniziative “costituenti” che mantennero vivo il dibattito.

Il Congresso dei Sardi e Tramas de Amistade

A fine 1997 il milieu culturale che aveva promosso la “Assemblea dei cento” si ritrovò in una “lettera agli etnicisti sardi”, la quale affermava che “solo un Congresso dei Sardi può elaborare un programma di liberazione fondato sui principi culturali e i valori morali della sardità. E solo un tal Congresso può essere legittimato a decidere le forme e le finalità delle istituzioni di autogoverno e auto-amministrazione; […] riteniamo giunti finalmente il momento e l’occasione per dar vita ad un moto di rivincita etnica dei sardi strutturato sulla base di Comitati autocostituentesi, autonomi, confederantesi, pronti ad aprire subito il dibattito che dovrà concludersi col Congresso dei Sardi”.

Dopo alcune riunioni preparatorie, il 21 febbraio 1998, a Bauladu, in una sala affollata all’inverosimile, centinaia di persone convocate da Giovanni Lilliu partecipano ad una assemblea che deve “discutere la proposta di convocare il Congresso dei Sardi”.

E’ emblematico che il giorno dopo l’Unione Sarda, in prima pagina, nell’articolo di spalla, riporta una foto dell’incontro di Bauladu e, come occhiello, scrive “Aperti i lavori della Costituente”.

La formula citata nell’Assemblea dei cento del 1997, dopo neanche un anno, era in prima pagina sull’Unione Sarda.

Il Congresso dei Sardi ebbe un qualche seguito, ma non si tenne. Contribuì a seminare, come l’assemblea dei cento.

Qualche mese dopo, in un chiaro continuum ideale, nacque l’associazione “Tramas de Amistade”, promossa da professionisti e intellettuali di sensibilità patriottica sarda di tutta la Sardegna, la quale nel corso del 1999 propose di creare, alle imminenti elezioni europee, una lista contenitore sarda, “per permettere di collocare almeno due eurodeputati”.

L’associazione “Tramas de Amistade” rimase attiva per anni, promosse l’Assemblea Costituente, e lavorò per includere nel movimento per l’ACS quante più organizzazioni e personalità possibili[7].  

Il Movimento per la Costituente

Tra il 1999 ed il 2003 un vasto movimento di popolo, che riuscì a raccogliere 40.000 firme, e che ebbe un largo consenso politico trasversale (capeggiato da Massimo Fantola e Pier Sandro Scano) ed un largo appoggio dei più importanti corpi intermedi sardi (su tutti, la CISL) si mobilitò in modi diversi per l’Assemblea Costituente Sarda.

Questo movimento arriverà ad incontrare il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Sono gli anni di confuse e continue discussioni e scelte, a Roma, intorno al federalismo, la devolution, la regionalizzazione etc., che avranno come sbocco legislativo la riscrittura del Titolo V della Costituzione. Non un ridisegno complessivo dell’architettura istituzionale dello Stato, quindi, che rimane, nelle sue strutture più fondamentali (bicameralismo, composizione Corte Costituzionale), uguale a sé stesso[8].

La scommessa del Movimento per la Costituente era passare dall’autonomismo al federalismo mediante la istituzione dell’ACS.

Il movimento, che assunse toni di massa, portò in due anni ad un grande risultato.

Il 31 luglio 2001 in consiglio regionale venne approvata la legge “Procedura di adozione del nuovo Statuto speciale per la Sardegna mediante istituzione dell’Assemblea Costituente sarda”. Si trattava di una proposta di legge da trasmettere al Parlamento ai sensi dell’art. 54 dello Statuto, che faceva sintesi di 4 proposte di legge nazionale presentate nel corso della legislatura. La legge non venne votata dal centro-sinistra.

In relazione alla coerenza normativa della proposta, la relazione di accompagnamento sottolineava che “le procedure prescelte per consentire l’istituzione di tale Assemblea sono […] quelle previste dal vigente articolo 54 dello Statuto in materia di modifiche dello stesso e dall’articolo 138 della Costituzione in tema di revisione costituzionale”.

Nello specifico, la proposta prevedeva di aggiungere l’art. 54-bis allo Statuto speciale per la Sardegna, il quale disciplinasse l’istituzione di una Assemblea Costituente regionale, la sua coerenza con il principio di indivisibilità della Repubblica, le modalità di elezione, la durata, gli obiettivi e le modalità di lavoro.

La proposta di legge nazionale non venne mai approvata dal Parlamento, anche per il fuoco amico di deputati e senatori sardi. Era prevedibile, dato il risultato della votazione in Consiglio regionale.

Il cosiddetto centro-sinistra, nella sua interezza, non sostenne mai la ACS.

Una parte di esso provò a teorizzare e praticare una rottura, con la costituzione di Democratzia, una formazione politica nella quale sarebbero dovuti confluire, con caratteri di massa, le culture politiche del lavoro (comuniste), ed i rappresentanti del pensiero cattolico e sardista.

I punti di riferimento erano Pier Sandro Scano e Ivana Dettori per la cultura comunista, Salvatore Cubeddu per la cultura sardista e Paolo Maninchedda per la cultura cattolica.

Benché di vita breve, Democratzia ha rappresentato uno dei tentativi più organici e lungimiranti di “sardizzare” il panorama politico precedentemente legato a dinamiche “italiane”.

Ci provò legando notevoli innovazioni programmatiche a coraggiose opzioni organizzative, che erano un po’ lo spirito del tempo.

Senza entrare nello specifico delle proposte organizzative, ai fini di questo scritto è interessante riportare i “10 punti” di Democratzia:

“1. I sardi sono una nazione, che partecipa come tale allo Stato italiano e all’Unione Europea. Il fondamento della nazione sarda è geografico, linguistico, culturale e storico-politico;

2. La nazione sarda si dà la sua Costituzione, con una scelta federale, nella sua Assemblea costituente;

3. La nazione sarda è aperta a tutti i popoli, combatte ogni forma di razzismo, accoglie e tutela chiunque rispetti le leggi. Essa è comunità fondata sulla fiducia e la solidarietà che sono anche fattori essenziali del suo sviluppo;

4. Tutti i sardi hanno diritto al benessere da conseguire innanzitutto nella propria terra;

5. Tutti i sardi, donne e uomini, hanno diritto a pari opportunità nell’economia di mercato e nella vita sociale e politica. La salute, l’istruzione, il lavoro e la sicurezza sono diritti della persona prima che servizi;

6. Le istituzioni sarde affermano e promuovono la democrazia, disciplinano i rapporti tra il potere politico e il potere economico, garantiscono la democrazia economica e impediscono il formarsi di posizioni di monopolio;

7. Le istituzioni sarde combattono la povertà;

8. Il territorio, l’ambiente, le lingue e le tradizioni della Sardegna sono patrimonio della comunità sarda. I paesi della Sardegna sono un patrimonio speciale di questa comunità;

9. La Sardegna persegue l’innalzamento della sua ricchezza complessiva, che è costituita dall’ambiente fisico e umano, dal capitale culturale e sociale e dall’insieme delle conoscenze e delle competenze;

10. La prosperità della comunità sarda esige il rinnovamento radicale della politica e della Regione che attualmente sono di ostacolo per il progresso economico e civile dei sardi. I valori e i programmi costituiscono la base degli schieramenti politici e delle alleanze e non viceversa”.

Democratzia, in definitiva, ebbe un ruolo fondamentale nella battaglia per l’ACS ma ben presto il progetto politico teorizzato e praticato si bloccò, ed ognuno dei protagonisti tornò nelle sue “aree di comfort”.

Ma cosa voleva il “Movimento per la Costituente”? Il documento solennemente firmato a Cagliari il 13 novembre 2001 è chiaro:

“I firmatari di questo documento sono tra coloro che, in questi anni di dibattito sulle istituzioni sarde, sono arrivati alla convinzione dell’opportunità e della necessità di una loro rifondazione attraverso l’elezione di un’Assemblea Costituente Sarda. Intendiamo offrire ai cittadini della Sardegna il diritto-dovere di riscrivere le regole fondamentali su cui misurare la propria convivenza civile e i rapporti con il contesto italiano e internazionale.

L’urgenza di una sua convocazione in tempi definiti e brevi è imposta dal veloce procedere della riforma istituzionale in discussione presso il Parlamento […]. Occorre pertanto che i convinti contattino gli incerti in modo che tutti sappiano e prendano posizione. L’assemblea Costituente Sarda riguarda infatti tutti i Sardi, senza distinzione di schieramento e appartenenza. […] Occorre arrivare alla consapevolezza che la discussione collettiva della nuova Costituzione Sarda può cambiare positivamente la vita di ciascuno dei Sardi. [….]

Riteniamo che sia giunta l’ora di contribuire alla riscrittura federale del patto che ci lega all’Italia ed ai progetti che debbono delineare il futuro del nostro Popolo nella sua terra, nell’ambito dei processi che riguardano l’Europa ed il Mediterraneo.

Crediamo che un’Assemblea Costituente Sarda, convocata secondo modalità elettive proporzionali e rispettosa delle rappresentanze territoriali, rappresenti la sede capace di una discussione allargata, approfondita ed efficace”.

A fine 2002, data la palude parlamentare in cui era finita la proposta di legge nazionale inviata alle Camere, i consiglieri regionali del Psd’Az Sanna e Manca presentarono la proposta di legge “Istituzione di una Assemblea costituente per la redazione del nuovo Statuto speciale per la Sardegna”, la quale aveva la sua base giuridica non nell’art. 54 dello Statuto e nella Costituzione, bensì nella “dichiarazione di sovranità del Popolo Sardo, approvata dal Consiglio regionale della Sardegna il 24 febbraio 1999”.

Non si passava per il Parlamento. La proposta di legge venne approvata in commissione, con una dinamica abbastanza rocambolesca.

Si trattò di una fuga in avanti rispetto al movimento per la costituente, che continuava le sue attività.


Fu, probabilmente, quello il momento in cui si perse l’abbrivio.

La successiva legislatura, che fu la legislatura Soru, fu completamente diversa.

La legislatura di Renato Soru

Sulla legislatura del Presidente Renato Soru (2004-2009), terminata anticipatamente, si è scritto molto. È stata una delle legislature più importanti del periodo autonomistico, ed il suo tasso di riformismo ha permesso che la struttura amministrativo-politica della Sardegna del 2009 fosse completamente diversa da quella del 2004. Non altrettanto si può dire di altre legislature, sia precedenti che successive.

Il tasso di riformismo fu alto anche sulle questioni istituzionali, il termine “assemblea costituente” non venne mai usato, ma lo spirito costituente fu comunque fortissimo. Il 23 maggio 2006 il consiglio regionale approvò la legge numero 7, rubricata “Istituzioni, attribuzioni e disciplina della Consulta per il nuovo statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo”. Formalmente non era una costituente, ma nella sostanza le si avvicinava molto.

L’art. 1 era molto chiaro: “Il Consiglio regionale istituisce una Consulta per l’elaborazione di un progetto organico di nuovo statuto di autonomia e di sovranità del popolo sardo, al fine di assicurare la più ampia partecipazione della comunità regionale e dei sardi residenti fuori dall’Isola ed il concorso delle autonomie locali. – La Consulta ha il compito di definire il progetto, di proporlo all’esame delle forze sociali, economiche e culturali, delle istituzioni locali, delle autonomie funzionali della comunità regionale, degli organismi di parità e di quelli rappresentativi degli emigrati e degli immigrati; completata la consultazione, trasmette il progetto al Consiglio regionale”.

La legge non venne accettata dal Governo italiano, di centrosinistra, che la impugnò, e diversi settori della stessa maggioranza di governo regionale non la accolsero con favore[9].

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 365 del 2007, dichiarò la illegittimità costituzionale della rubrica della legge, limitatamente alle parole “e sovranità”, la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, limitatamente alle parole “e di sovranità”, e lo stesso riguardo l’art. 2, comma 2, lettera a, ed il comma 3. Insomma, la parola “sovranità” non doveva essere utilizzata!

Il Presidente Soru reagì in modo “straordinariamente pacato, quasi formale. Soru è guardingo. Non vuole tirare troppo la corda con Roma”[10].

A seguito della sentenza della Corte l’idea della Consulta venne sostanzialmente abbandonata, e ci si concentrò sulla legge statutaria.

È emblematico che nel pamphlet che Massimo Dadea, ex assessore regionale alla Riforma della Regione e Personale, diede alle stampe qualche mese dopo la fine della legislatura, la vicenda della Consulta e della legge regionale 7/2006 non venga citata[11].

Viene invece abbondantemente trattato il tema della legge statutaria, una legge ordinaria che permetteva, a seguito della Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, di disciplinare parti importanti precedentemente legate ad un iter legislativo di tipo costituzionale, in quanto norme presenti nello Statuto.

Il disegno di legge esitato dalla Giunta con DGR (Deliberazione di Giunta) n. 51/7 del 4.11.2005 si rivelò molto più ambizioso rispetto a quello poi effettivamente votato, a maggioranza, dal consiglio regionale nel 2007. Accadde poi l’imprevedibile. Il resoconto di Andrea Raggio è preciso:

“In sede di approvazione, la legge ottenne una maggioranza inferiore ai due terzi dei componenti il Consiglio. Il referendum, previsto in questo caso dall’articolo 15 dello Statuto, venne chiesto da diciannove consiglieri di centrosinistra e di centrodestra e si svolse nell’ottobre del 2007, preceduto da vivaci polemiche. Votarono 228.439 elettori (15.57%), i “SI” furono 72.404 (38.08%), i “NO” 153.258 (67,91%). Sulla controversa questione del quorum vennero chiesti anche i pronunciamenti della magistratura ordinaria e costituzionale mentre la legge veniva promulgata nel luglio 2008. Soru ne diede comunicazione a cose fatte al Consiglio che era stato convocato proprio per discutere sul da farsi. La Corte Costituzionale, il 4 maggio 2009, dichiarava che ‘non spettava al Presidente della Regione Sardegna promulgare la legge statutaria regionale n. 1 del 2008 in assenza della sua approvazione da parte della maggioranza dei voti validi di coloro che avevano preso parte all’apposito referendum popolare’. Come conseguenza, annullava la promulgazione della legge Statutaria”[12].

La legislatura, per quanto riguarda le riforme, finì in questo modo.

Soru si dimise a fine 2008, e nel 2009 si tennero le elezioni[13].

Che fine fece l’idea di ACS?

Il Consiglio Nazionale del Psd’Az, che si riunì il 4 gennaio 2009, stabilì “Di fissare i seguenti punti programmatici per la trattativa proposta

  1. Riscrittura dello Statuto in direzione di un deciso aumento di sovranità attraverso la convocazione di un’Assemblea costituente. […]

Per lo svolgimento del negoziato politico e programmatico, il Consiglio Nazionale incarica una delegazione ristretta composta dal Presidente del Consiglio nazionale, Giacomo Sanna, dal Segretario nazionale Efisio Trincas e dal vicesegretario nazionale Angelo Carta”.

Alla scelta del Psd’Az rispose Ugo Cappellacci, candidato governatore del centrodestra: “Gentilissimo Segretario,

nel recentissimo incontro con la Vostra delegazione ho evidenziato come sia necessario, per il bene e lo sviluppo della Sardegna, far di tutto affinché le nostre forze unite riescano a dare un nuovo governo alla nostra terra. […]

Nel merito voglio sottolineare come siano apprezzati e condivisi: […]

  • Riscrittura dello statuto in direzione di un deciso aumento di sovranità attraverso l’Assemblea Costituente. […]

La volontà per la riscrittura dello Statuto mediante l’assemblea costituente era già condivisa per cui non vedo ostacoli a far si che questo strumento di grande partecipazione democratica e di coinvolgimento delle migliori forze intellettuali della nostra terra qual è l’assemblea costituente, possa finalmente concretizzarsi”.

Qualche settimana dopo Ugo Cappellacci sarà il nuovo Presidente della Giunta Regionale.

La consultazione referendaria sull’Assemblea Costituente

Ugo Cappellacci vinse le elezioni, il Psd’Az si alleò con il centrodestra, ma l’ACS non si fece. Non si fece neanche una legge, né sotto forma di proposta di legge da presentare al Parlamento, né sotto forma di legge regionale vera e propria.

Nelle dichiarazioni programmatiche di Cappellacci non venne citata l’ACS, ci si limitò alla più generica affermazione “Questa legislatura dovrà anche essere una legislatura costituente perché finalizzata alla riscrittura del nuovo Statuto di Autonomia”.

All’inizio della XIV legislatura venne presentata la mozione “per l’indipendenza”, da parte dei consiglieri sardisti, la quale impegnava la Giunta a “a guidare la Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza, avviando con lo Stato italiano una procedura di disimpegno istituzionale che preveda un quadro articolato di indennizzi per la Nazione sarda, in ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la Sardegna ha subito prima dal Regno d’Italia e poi dalla Repubblica italiana”.

La mozione non ebbe gli effetti sperati.

Qualche mese dopo, ad opera della Fondazione Sardinia, venne consegnato ai consiglieri regionali l’ordine del giorno voto al Parlamento che, in base all’art. 51 dello Statuto, prevedeva che si desse avvio alla elaborazione del nuovo Statuto – Costituzione della Sardegna tramite un’assemblea costituente (scritto in minuscolo) il cui lavoro venisse poi confermato dal consiglio regionale con un voto e dai cittadini sardi tramite referendum.

La proposta della Fondazione servì a ravvivare il dibattito, ma non ebbe risultati concreti.

Successivamente nacque il “Comitato per la Costituente”, composto da 15 personalità, tra cui i segretari di CGIL, CISL e UIL, intellettuali, uomini della Chiesa e di associazioni di categorie.

Il Comitato affermava che “Lo statuto, la legge statutaria e le riforme istituzionali rappresentano atti fondamentali per migliorare le istituzioni e la politica, incidono positivamente nella vita dei cittadini e producono benèfici effetti sul lavoro di ciascuno e sulla prosperità di tutti” e, per questa ragione riteneva “necessario il comitato per l’assemblea costituente con la finalità di contribuire, grazie a un’ampia consultazione dei cittadini sardi, all’attuazione dell’ordine del giorno approvato dal Consiglio regionale il 18 novembre dello scorso anno. Gli aderenti al Comitato condividono:

  1. l’indispensabile e diretto protagonismo del popolo sardo nella presente storia istituzionale, sociale, economica, politica e culturale;
  2. la complessità e la caratteristica costituente dell’attuale situazione della Sardegna, che domanda nuovi fondamenti di specialità non solo nel campo della politica e delle riforme istituzionali, ma anche in quelli della cultura, dell’istruzione e dell’economia;
  3. la necessità di un percorso riformatore che contribuisca a disostruire i canali di collegamento tra i cittadini e la politica”[14].

Il Comitato promosse una manifestazione simbolica l’11 dicembre, durante la quale un piccolo corteo partì da Piazza Palazzo a Cagliari per poi scendere sino al Consiglio regionale, dove furono ricevuti dall’allora presidente della Commissione Autonomia, Paolo Maninchedda, e dalla presidente del Consiglio, Claudia Lombardo.

Le dichiarazioni furono chiare “Se la politica si mostra sorda a queste esigenze che giungono da tutta l’isola e non esprimerà la volontà di riformare lo Statuto, a primavera si procederà con l’elezione dei rappresentanti dell’Assemblea costituente dal basso”[15].

In realtà qualche mese dopo le elezioni dal basso dell’ACS non si tennero.

Contemporaneamente, in quegli anni Piergiorgio Massidda ed Antonello Cabras andavano presentando le proprie proposte di Statuto, le quali non avevano un organico raccordo con l’Assemblea Costituente.

Di particolare interesse, invece, per il suo carattere di massa, furono i referendum del 2012: i “referendum in Sardegna del 2012 si sono tenuti il 6 maggio e hanno avuto ad oggetto dieci distinti quesiti: 5 si sono caratterizzati come referendum vincolanti (1, 2, 3, 4, 8), 5 come consultivi (5, 6, 7, 9, 10). I referendum, chiamati comunemente “anticasta”, sono stati proposti dal Movimento Referendario Sardo, […], per abrogare le quattro nuove province sarde e la legge sui compensi ai consiglieri regionali (cinque quesiti abrogativi), [….], per la convocazione di un’assemblea costituente che riscriva lo statuto, per l’elezione diretta del Presidente della Regione Autonoma della Sardegna […].

Affinché il referendum fosse valido era necessario che fosse raggiunto il quorum del 33,3% degli aventi diritto al voto (un terzo) così come richiesto dalla L.R. n. 20 del 1957. Alla chiusura delle urne la percentuale dei votanti è risultata essere 35,50% e dunque il quorum raggiunto. Lo spoglio delle schede ha visto vincere il “Sì” in tutti e dieci i quesiti”[16].

Il Referendum n. 6 recitava: “Siete voi favorevoli alla riscrittura dello Statuto della Regione Autonoma della Sardegna da parte di un’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale da tutti i cittadini sardi?”.

I favorevoli furono il 94,42%, i contrari il 5,58%.

Nonostante nel corso della legislatura il presidente Cappellacci avesse accentuato il proprio profilo rivendicazionista e “sardista”, il risultato del referendum non fu rispettato, e sull’ACS tutto tacque.

A fine 2012 venne presentata in Consiglio regionale la mozione n. 224 sull’indipendenza, firmata da consiglieri regionali di ogni schieramento, primo firmatario il sardista Giacomo Sanna, la quale prevedeva che “la dichiarazione di indipendenza della Sardegna sia sottoposta al voto del popolo sardo attraverso il referendum consultivo”. La mozione non ebbe alcun seguito.

Il Presidente Cappellacci preferì cavalcare la “zona franca”, che divenne un vero e proprio tormentone a fine legislatura e durante la campagna elettorale del 2014[17].

Fuori dal palazzo, il lustro 2009-2014 si caratterizzò per un forte movimentismo, una costante mobilitazione ed una presenza, mediaticamente rilevante, dei movimenti e partiti indipendentisti. Sono gli anni del Movimento Pastori Sardi, della Consulta rivoluzionaria, del piazzale di viale Trento a Cagliari in perenne occupazione, dei movimenti delle partite IVA, ma anche della costante e precisa attività di organizzazioni extraconsiliari come ProgReS (Progetu Repùbrica de Sardigna) e Fiocco Verde, che riproporrà la questione fiscale e l’istituzione dell’Agenzia sarda delle entrate.

Questi movimenti e organizzazioni, in quasi tutti i casi, non fecero proposte precise sulle questioni istituzionali. Si rimarcò però con forza la necessità di una rottura, di un cambio dell’assetto delle relazioni di potere, ed istituzionali, in Sardegna.

Si arrivò alle elezioni regionali con un quadro complessivamente effervescente e con un centrosinistra che, dopo aver risolto l’”affaire Barracciu”, candidò Francesco Pigliaru. Le questioni istituzionali scomparirono dal dibattito elettorale.

2014-2022. Il grande freddo

Nella legislatura 2014-2019 non ci fu spazio per l’ACS, e neanche per ragionare veramente di riforma dello Statuto. Le dichiarazioni programmatiche si danno l’obiettivo di “riformare la regione”, ma nel senso di cambiare la LR 1/77 e 31/98, e non invece l’architettura più generale[18].

Ad onor del vero, la prima commissione, in una risoluzione approvata all’unanimità a luglio 2014, da discutere in consiglio regionale, stabilì che “il mutato contesto sociale, economico, giuridico richiede una processo di riforma organica e di implementazione di tutti gli strumenti giuridici che garantiscono l’autonomia, la specialità e l’integrazione della Regione nell’ordinamento nazionale ed europeo” e che il processo di riforma debba articolarsi “nell’individuazione degli ambiti e delle disposizioni dello Statuto la cui revisione garantisca una più efficace declinazione della specialità e dell’autonomia quale premessa per poter conseguentemente procedere, previo confronto con la Giunta e con i Parlamentari sardi o eletti in Sardegna, all’elaborazione di una idonea procedura e di una organica proposta di revisione statutaria”.

Nella discussione in consiglio della risoluzione appare evidente che le revisioni statutarie sono un elemento secondario della discussione, e che saranno comunque marginali, nonostante qualche consigliere (Paolo Zedda, Angelo Carta, Christian Solinas) provi ad affermarne la centralità. L’assemblea costituente viene citata dal presidente della commissione Agus per affermare che non funziona, in quanto il Parlamento sarebbe ostile. Addirittura Giuseppe Meloni, insieme a Demontis ed altri, afferma che “Io penso che sia affascinante l’idea di pensare ad un’assemblea costituente che possa portare alla scrittura di una proposta di riforma (…) dello Statuto ma anche per quanto riguarda un intervento sulla legge statutaria, ma penso che non ci sia più tempo. Non c’è più tempo da perdere”. È un dato di fatto, tuttavia, che in quella legislatura, ed a dire il vero anche in quella successiva, entrambe partecipate da Giuseppe Meloni, non si è fatto né la riforma dello Statuto, né la Statutaria. Il tempo si è perso.

In questo periodo ha luogo il seminario/convegno sull’assemblea costituente ed il nuovo statuto, dal titolo “Est ora – Movè(m)us”, che Fondazione Sardinia, Carta di Zuri ed il sito www.sardegnasoprattutto.com realizzarono a Palazzo Regio a Cagliari il 9 ed il 23 giugno 2014[19].

Un primo effetto di quell’incontro fu la costituzione dell’OSRI (Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali), il quale si proponeva di “di monitorare costantemente quanto accade nel Parlamento italiano in materia di riforme istituzionali, paventando e contrastando il pericolo della perdita della nostra specialità sarda e dello svuotamento del nostro statuto autonomistico”[20].

Il contesto in cui si svolse la prima parte della legislatura era infatti estremamente negativo. Il renzismo, con il suo turbo-accentramento, pareva invincibile, destinato a cambiare l’Italia, anche se naufragò in poco più di due anni, quando a fine 2016 venne bocciato una riforma della Costituzione italiana che prevedeva una ricentralizzazione istituzionale.

La fine del renzismo, e della voglia di restaurazione romana, non significò uno scatto in avanti del Consiglio regionale, della Giunta, o del dibattito più in generale.

Sul versante della Giunta, la staffetta presso l’Assessorato alle Riforme ed al Personale tra Gianmario Demuro e Filippo Spanu fece propendere l’azione della giunta, negli ultimi anni, verso il raggiungimento di alcuni risultati concreti (rinnovo contrattuale) piuttosto che verso l’inizio di un percorso costituente.

Sul versante consiliare, le fibrillazioni, le sentenze del TAR che scomposero e ricomposero il consiglio regionale, la caduta di fiducia verso gli alleati di governo, il progressivo sfaldamento della maggioranza, non permisero alcun passo in avanti.

La società civile, da parte sua, sembrò in altre faccende affacendata.

Le elezioni del 2019 portarono alla Presidenza della Giunta, per la seconda volta nella storia autonomistica, un Presidente sardista, che vinse con un distacco enorme la competizione elettorale.

Alle comprensibili aspettative, alimentate da dichiarazioni programmatiche molto nette e chiare sul tema della “sardità”, non ha corrisposto, in una legislatura che volge al termine, nessuna azione concreta. Nelle dichiarazioni programmatiche, infatti, si scrisse chiaramente che bisognava “ridefinire gli spazi di autogoverno, i poteri e le risorse della Sardegna mediante un nuovo Statuto di Autonomia Speciale, la cui elaborazione sia affidata ad un’Assemblea Costituente del Popolo Sardo”[21].

Non risulta che da parte della Giunta sia stato esitato alcun disegno di legge riguardante lo Statuto, l’ACS o la legge statutaria, o che sia stato fatto dal consiglio regionale. Tanto meno vi è stata alcuna discussione di merito in consiglio regionale, o l’apertura di un largo confronto con i corpi intermedi o l’intellettualità diffusa sul tema.

L’unico tema istituzionale discusso, e su cui si è ottenuto il risultato, è l’inserimento del concetto di insularità in Costituzione, in una formulazione diversa rispetto a quanto inizialmente chiesto.

In questo contesto, il risultato delle elezioni italiane del 25 settembre 2022 ha ribaltato il contesto rispetto al passato recente. La “autonomia differenziata” si riprende la scena.

L’autonomia differenziata ed il balbettio

La Lega Nord di Matteo Salvini, alle elezioni politiche italiane del 2022 ha dato il via libera alla candidatura a primo ministro di Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia, in cambio dell’impegno a realizzare, nell’arco della legislatura 2022-2027, l’autonomia differenziata.

Per autonomia differenziata si intende la realizzazione di quanto previsto dall’art. 116, comma 3, della Costituzione, e cioè che “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia [….] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata […]. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.

Già 5 anni prima il governo Gentiloni aveva sottoscritto tre distinti accordi preliminari con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto sul tema[22].

L’autonomia differenziata non riguarda direttamente la Sardegna, e l’attuale legislatura non lascia prevedere riforme organiche in senso regionalistico o federalistico dello Stato.

Tuttavia, essa viene usata a livello centrale dalle opposizioni per imbastire una campagna contro il governo che vorrebbe “rompere l’unità italiana”. Per parte nostra, in questo scritto rimandiamo a quanto esposto da Danilo Lampis qualche mese fa[23].

L’autonomia differenziata è l’ennesimo sviluppo istituzionale italiano il quale rende ancora più urgente una ridiscussione sulla utilità e sostanziale effettività dello Statuto di autonomia della Regione Sardegna, il quale ormai ha 75 anni.

L’elaborazione istituzionale e politica in questi mesi si è avvicinata allo zero.

Nonostante manchino pochi mesi alle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale, nessuna forza politica ha al momento avanzato una proposta che abbia al centro le riforme istituzionali in Sardegna.

Da una parte, il centrodestra afferma che l’inserimento del principio di insularità nel DDL (Disegno di Legge) sull’autonomia differenziata mette al sicuro la Sardegna. Dall’altra, le opposizioni sono contrarie alla autonomia differenziata in quanto le conseguenze per la Sardegna sarebbero negative.

Solamente qualche politico in pensione e qualche intellettuale sparso sollevano il tema della necessità di rivedere completamente lo Statuto.

Conclusioni

La Costituente è stata la risposta, ricorrente, alla crisi dello Statuto ed al modificato quadro internazionale post caduta del muro di Berlino, il quale ha cambiato completamente il contesto italiano ed europeo.

Da una parte, la riscrittura dello Statuto e la Costituente sono una ferma convinzione e necessità per il mondo dell’autodeterminazione, per una piccola parte dell’intellettualità sarda, per alcuni federalisti ed una minuscola percentuale del mondo politico istituzionale.

Dall’altra, negli ultimi 30 anni diversi attori politici l’hanno usata in modo evidentemente strumentale (dato il successivo abbandono) per guadagnare la scena politica o gettare la palla in tribuna.

Oggi non sembra interessare gli attori politici più importanti, i quali hanno sostanzialmente finanche abbandonato il proposito di modificare lo Statuto.

Bibliografia, sitografia e archivi

APC: Archivio Privato Cubeddu Salvatore

AAVV, Il federalismo sardo – Atti del Convegno, Cagliari, 6-7 dicembre 2001, Edizioni Fondazione Sardinia, Cagliari 2002

Accademia delle Scienze dell’URSS, Storia Universale, Teti Editore, Milano 1975

Bandinu Bachisio, Cubeddu Salvatore, Il quinto moro – Soru e il sorismo, Domus de Janas, Cagliari 2007

Cubeddu Salvatore, L’ultima battaglia – la grande sfida  per la conquista della Sardegna – il racconto delle elezioni regionali del 2009, CUEC, Cagliari 2009

Cubeddu Salvatore, Sardisti – Viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia, EDES, Sassari 2021, Volume III (1976-1995)

Dadea Massimo, Meglio Soru (o no?) – la febbre del fare 13 anni dopo, CUEC, Cagliari 2009

Raggio Andrea, Cronaca di una legislatura – da Renato Soru a Ugo Cappellacci (2004-2009), Aipsa, Cagliari 2010

it.wikipedia.org

www.consregsardegna.it

www.enricolobina.org

www.fondazionesardinia.eu

www.mariomelis.eu

www.senato.it

www.unionesarda.it


[1] “il 5 maggio 1789 iniziarono a Versailles le sedute degli Stati generali. […] Il 17 giugno i deputati del ‘terzo stato’ compirono un atto coraggioso: essi si proclamarono Assemblea nazionale, invitando i rimanenti deputati ad unirsi a loro. […] Il 9 luglio l’Assemblea nazionale si autoproclamava Assemblea Costituente, supremo organo rappresentativo e legislativo del popolo francese, chiamato ad elaborarne le leggi fondamentali”. Accademia delle Scienze dell’URSS, Storia Universale, Teti Editore, Milano 1975, volume 6, pp. 25-26

[2] http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=19229

[3] www.fondazionesardinia.eu/ita/wp-content/uploads/2019/06/Libro-Enrico-Lobina_DEF3.pdf

[4] Cfr. Salvatore Cubeddu, Sardisti – Viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia, EDES, Sassari 2021, Volume III (1976-1995).

[5] http://www.mariomelis.eu/?p=197

[6] Per questo paragrafo e per i prossimi due è risultato fondamentale l’APC, Archivio Privato di Salvatore Cubeddu

[7] Nel 2002, per esempio, in una comunicazione inviata a Francesco Cossiga, che aveva presentato una proposta di Statuto, l’associazione scriveva: “il nostro movimento d’opinione è impegnato attivamente nel progetto dell’Assemblea Costituente del Popolo Sardo […]. La Sua iniziativa per l’istituzione della Nuova Comunità della Sardegna o ‘noa Carta de Logu’. Come già manifestatoLe in precedenza, La sentiamo sostanzialmente a noi vicina dal lato dell’ispirazione politica e culturale. Anzi, riteniamo che al momento, la Sua proposta rappresenti l’elaborazione più avanzata sulla tematica del federalismo espressa in Sardegna dentro e oltre la cultura Sardista. Le rinnoviamo pertanto l’invito ad una discussione pubblica per la società civile, che possa spiegare ed articolare la complessità degli alti contenuti presenti nella Sua proposta”.

[8] A 22 anni dalla riforma del Titolo V, in tempi di “autonomia differenziata”, la confusione è aumentata, e né il federalismo né il regionalismo sono oggi realtà in Italia. Il concetto di “autonomia differenziata” e la confusione attuale sulle “riforme istituzionali” non aiutano.

[9] “Oggi in realtà la Regione sarda non ha un suo Statuto. Giustissima, quindi, la scelta di porre la revisione dello Statuto come una delle priorità della legislatura. La scelta però fu accompagnata da una decisione bizzarra, quella di affidare ad un organo esterno alla Regione, chiamato ‘Consulta statutaria’, il compito di elaborare ‘un progetto organico di un nuovo statuto’”. Andrea Raggio, Cronaca di una legislatura – da Renato Soru a Ugo Cappellacci (2004-2009), Aipsa, Cagliari 2010.

[10] Bachisio Bandinu, Salvatore Cubeddu, Il quinto moro – Soru e il sorismo, Domus de Janas, Cagliari 2007.

[11] Cfr. Massimo Dadea, Meglio Soru (o no?) – la febbre del fare 13 anni dopo, CUEC, Cagliari 2009.

[12] Andrea Raggio, cit., p. .47

[13] Sulla campagna elettorale del 2009 Cfr. Salvatore Cubeddu, L’ultima battaglia – la grande sfida per la conquista della Sardegna – il racconto delle elezioni regionali del 2009, CUEC, Cagliari 2009

[14] http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=3210

[15] https://www.unionesarda.it/news-sardegna/cagliari-marcia-del-comitato-per-la-costituente-d7mtzcwp

[16] https://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_in_Sardegna_del_2012

[17] http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=6062

[18] https://www.regione.sardegna.it/documenti/1_46_20140402170016.pdf.

[19] http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?page_id=8405.

[20] http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?s=OSRI.

[21] https://www.consregsardegna.it/Consultabili-le-Dichiarazioni-programmatiche-del-Presidente-della-Regione/

[22] https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/Ddliter/56845.htm

[23] http://www.enricolobina.org/situ/la-sardegna-al-tempo-dellautonomia-differenziata-lintervento-di-danilo-lampis/