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Sviluppo locale o benessere locale? Appunti per politiche contro lo spopolamento delle aree interne

Oggi “La Nuova Sardegna” riporta la cronaca dell’iniziativa di ieri del Movimento 5 Stelle, insieme ad altri, sui temi dello spopolamento delle aree interne della Sardegna tenutasi a Santu Lussurgiu.

In quella occasione il presidente dell’ANCI, Emiliano Deiana, ha annunciato la presentazione di una proposta di legge, organica, sulle aree interne ed i piccoli comuni.

Sull’Unione Sarda con grande evidenza si dà notizia di una specifica iniziativa della Lega sulla Sardegna che perde abitanti.

In attesa fiduciosa di conoscere il testo della proposta di legge dell’ANCI, ci permettiamo alcuni appunti generali sul tema, da proporre al dibattito pubblico, i quali si aggiungono a quanto scritto e fatto in questi anni.


Sviluppo locale o “benessere locale”?

Discutere di “sviluppo locale” quando si parla di aree interne e piccoli comuni vuol dire accettare il principio per cui c’è una evoluzione nella storia e nella vita delle comunità, che va dal “sottosviluppo” allo “sviluppo”, e che le aree interne ed i piccoli comuni della Sardegna devono “incamminarsi verso lo sviluppo”, seppur “locale”.

In America Latina negli ultimi decenni, ed in tante altre parti del mondo, si è invece affermato il principio del “bienestar”, cioè del “benessere”, dello “stare bene”.

Mettiamo in discussione il principio economicistico per cui lo star bene si può misurare con parametri economici e sociali legati alla traiettoria dello sviluppo, e pensiamo invece a come misurare il “benessere locale”.

Le aree interne ed i piccoli comuni devono vincere sul terreno dei valori e dei vantaggi che hanno rispetto alle città.

Il concetto di “paesitudine” va in questa direzione.

Si dirà che quello dell’abbandono delle “aree interne” “è un processo globale”, ma questo non ci ferma. Anzi. Dalla nostra comunità, la Sardegna, vogliamo immaginare un modo diverso di vivere?


Lingua sarda, “spopolamento” e “sviluppo locale”.

I GAL, FLAG, i distretti rurali, le unioni dei comuni e le altre mille diavolerie che ricevono risorse pubbliche (non poche) per fare lotta allo “spopolamento” e “sviluppo locale”, lo fanno in italiano, pensando in italiano ed agendo in italiano.

I tanti movimento che si occupano di aree interne se ne occupano in italiano.

Ma cosa c’è di più locale e profondo di una lingua?

E ci vogliamo dire che in Sardegna c’è una lingua, il sardo, e che quella dobbiamo usare se vogliamo discutere di “locale” e di “benessere locale”.

Se poi qualcuno non lo sa, si può sempre studiare.


Neoliberismo e “benessere locale”

Venticinque anni fa, in un volume della Fondazione Sardinia dal titolo “L’ora dei sardi”, Eliseo Spiga scriveva: “l’errore che molto spesso compiono anche coloro che, pur cogliendo una esigenza sacrosanta, propongono ‘un modello sardo di sviluppo, endogeno e più o meno autopropulsivo’ è quello di non comprendere che un tale modello entrerebbe in insuperabile conflitto  con alcune strutture della economia moderna quali, ad esempio, la produzione su larga scala e la standardizzazione delle merci. Un tale modello sarebbe destinato a soccombere prima ancora di incominciare ad esistere”.

Non è forse così? Quali possono essere le soluzioni?