
Giovedì 20 novembre ho terminato il corso di sardo tenuto da Mario Puddu. Vi propongo alcune osservazioni.
Enrico
Terminato il corso di sardo. Alcune considerazioni
Il 20 novembre è terminato, per metà dei corsisti, il corso e-learning di lingua sarda “Fuedhai e iscriri”, della durata di 50 ore, tenuto dal prof Mario Puddu e realizzato dal Consorzio Unitelsardegna.
Dal 15 luglio al 31 ottobre abbiamo seguito le lezioni on-line, compiuto gli esami intermedi e sostenuto, il 20 novembre, un esame in presenza.
Il corso ha permesso, ad un centinaio di studenti, di avere le nozioni di base della grammatica e della sintassi della lingua sarda.
Nei giornali negli ultimi mesi si discute molto di lingua sarda e di bilinguismo. La lingua è un nervo scoperto, che scalda oltre modo gli animi, portando ad una violenza verbale che in tante altre occasioni non si usa. Tutti si sentono liberi di esprimersi, e molti si sentono crociati, in un senso o nell’altro.
C’è addirittura chi si esprime solamente in uno standard, quello italiano, per sostenere che il sardo non deve avere uno standard. Capita, insomma, un po’ di tutto.
Quasi nessuno lo fa in sardo. Tutti parlano del bilinguismo, ma pochissimi lo praticano. In politica, per esempio, capita che il consiglio comunale si esprima, praticamente all’unanimità, per politiche per il bilinguismo, e poi nessuno parli una parola di sardo.
Si dirà che non si può sapere tutto. Argomento corretto. In questo caso, però, non stiamo discutendo di una tema qualunque. Se vogliamo il bilinguismo, bisogna studiarlo. E compiere scelte. Altrimenti si rimane al livello di chiacchere, che è una delle ragioni per le quali i politici sono una delle categorie più odiate dai sardi e dagli italiani.
Per il bilinguismo servono risorse e scelte politiche.
Per quanto riguarda le risorse, c’è addirittura chi dice e scrive che il bilinguismo esiste perché ci sono persone che hanno interessi economici a far esistere ancora il sardo (operatori degli sportelli etc.). Come se per far vivere qualunque lingua, in età contemporanea, non si fossero spese risorse enormi.
Per quanto riguarda le scelte, la domanda è semplice: si vuole il bilinguismo o no? Se lo si vuole fare si facciano tutte le politiche conseguenti. Il bilinguismo deve intervenire su ogni aspetto del vivere pubblico, a partire dagli asili nido, le scuole dell’infanzia, le scuole dell’obbligo e tutto il sistema informativo.
Il corso appena seguito, quindi, è un piccolo gioiello dentro un quadro assolutamente non all’altezza. A partire dall’università. A maggior ragione va dato merito a Mario Puddu, Sara Chessa e a tutto lo staff, di aver portato avanti, contro corrente, una iniziativa meritoria, da allargare e rafforzare.
