A proposito di smart working, telelavoro e lavoro a distanza ai tempi del covid19 – di Viviana Maxia

Da quasi cinque mesi mi è capitato di sperimentare quel tipo di attività che viene chiamata in tanti modi: home working, smart working, lavoro agile, telelavoro, ed in modo più fantasioso dalla Regione Sardegna, lavoro a distanza.

Devo dire che tra il tipo di attività che stavo già svolgendo precedentemente in ufficio e questa che sto svolgendo dal notebook di casa non vi è alcuna differenza, almeno per quanto riguarda gli obiettivi da raggiungere.
Sia dato il caso che sia stata fortunata ad avere una struttura che, con le sue istruzioni e sostegno, mi ha messo nelle condizioni di poter sfruttare al meglio il collegamento da remoto, vuoi complice la tranquillità della casa, vuoi i contatti utili con i colleghi sia nelle chat di WhatsApp che via telefono e via email, io sto lavorando benissimo, come mai mi è capitato prima.
A questo punto, però, mi viene da fare una riflessione: ma non sarà che veramente hanno sempre avuto ragione quei paesi, più che altro nordici, tipo Norvegia, Danimarca, Olanda, Svezia, che già sperimentano da tempo il lavoro agile, con risultati impensabili dal punto di vista del rendimento e della qualità del lavoro?
Si pensi, ad esempio  all’enorme risparmio per la gestione degli uffici della pubblica amministrazione: energia elettrica, acqua, telefoni, pulizie; quante auto in meno in giro, quanto inquinamento in meno, quanto stress in meno.
Si pensi al rendimento lavorativo maggiore, che in linea di massima, salvo casi di specie e detrattori a livello politico e comunicativo, che è stato riscontrato nell’applicazione di questo istituto lavorativo, ovviamente riorganizzato in modo da affidare ad ogni lavoratore degli obiettivi e risultati ben precisi da raggiungere.
Si pensi al fatto che quelle risorse economiche risparmiate potrebbero essere re-impiegate per migliorare le condizioni di coloro che vivono nel disagio.

Risorse redistribuite veramente a chi ne ha bisogno, a chi svolge attività logoranti, a chi non può permettersi di lavorare da casa.
Si verrebbe a creare un circolo virtuoso del quale si avvantaggerebbe la società intera.

Ed anche una volta ritornati alla cosiddetta normalità, questa normalità potrebbe davvero essere migliore, più bella, più solidale, più vivibile.
Questo grazie specialmente alla possibilità di avere il lusso per poter pensare, ragionare, che paradossalmente è nata dalla crisi, dalle privazioni vissute nel periodo del lockdown.

Pensateci, pensiamoci. Non tutti i mali possono venire per nuocere.

Ma ovviamente ogni vantaggio ha il suo rovescio della medaglia. Sono infatti molti e complessi gli aspetti da valutare e da disciplinare per far sì che questa modalità lavorativa possa essere adattata con favore a qualunque dipendente, a chiunque di noi,

Le esigenze infatti sono quasi infinite e fino ad adesso, dal punto di vista politico normativo abbiamo navigato nel caos più completo, fatto salvo qualche DPCM e frazioni di Ordinanze regionali supportate da piuttosto vaghe note dell’Assessorato del Personale.

Tutto ciò ha creato nelle varie strutture regionali una sorta di anarchia, in cui ogni Assessorato e Direzione Generale ha “interpretato” in modo personalissimo le norme poco chiare che si evincevano dalle Ordinanze.

 Il risultato è stata la creazione della definizione di “lavoro a distanza” che sinceramente non ha alcun significato specifico perché non rappresenta né il telelavoro (istituto che in Regione già esiste da anni ed è fruito da numerosi colleghi), né il cosiddetto “smart working”, meglio in italiano, “lavoro agile”.

I due istituti ben determinati e normati, ovvero il telelavoro ed il lavoro agile, hanno delle caratteristiche ben precise:

  1. Telelavoro

Lavoro effettuato a distanza grazie all’utilizzo di sistemi telematici di comunicazione; in particolare, lavoro a domicilio realizzabile mediante il collegamento a una rete di comunicazioni che consente il trasferimento immediato dei dati (per es., da un impiegato alla sede della direzione centrale). Svolto essenzialmente mediante l’uso di un computer collegato alla rete di un’azienda tramite linea telefonica o altro tipo di sistema per il trasferimento di dati, caratterizzato dallo svolgimento negli stessi orari dell’Ufficio, con sistemi di controlli orari di tipo informatico digitale.

  • Lavoro agile

Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. La definizione di smart working, contenuta nella legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come, ad esempio, pc portatili, tablet e smartphone). Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento – economico e normativo – rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. È, quindi, prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall’INAIL nella circolare n. 48/2017.

  • Lavoro a distanza (definizione della Regione Sardegna)

Il prefisso tele- (“da lontano”, “a distanza”) si ritrova anche in telelavoro, ma non si tratta dello stesso istituto perché corrisponde al telelavoro, che nelle ordinanze e nelle note regionali non è MAI nominato come tale. In teoria la postazione di lavoro è fissa e predeterminata in un eventuale contratto, in questo caso inesistente, in cui gli orari di lavoro sono fissi e determinati dal contratto mentre con il lavoro agile invece si può lavorare dove si vuole e non ci sono vincoli orari.

Ovviamente per molti, il cui lavoro ha tipologie e caratteristiche diverse, il lavoro a distanza così come è stato inteso finora può non essere assolutamente il modo giusto.

Un esempio per tutti: per una collega mamma che dispone di un solo computer e a volte nemmeno quello non è pensabile questa tipologia per vari motivi, non ultimo, la poca privacy, l’obbligo di seguire la DAD (Didattica a distanza) per quanto riguarda i figli in età scolastica (almeno in epoca COVID), la difficoltà di gestire i figli in età prescolare.

Per non parlare poi delle spese aggiuntive che tale modalità impone come attrezzature informatiche, arredi particolari, connessioni ADSL, etc. etc.

Questo e molto altro dovrà essere discusso con gli interlocutori competenti, sia presso l’Amministrazione Regionale che con la parte politica decisionale.

È, quindi, assolutamente necessario predisporre un disciplinare che tenga conto di tutte le esigenze specifiche dei lavoratori e discuterlo in un incontro da concordare tra OO. SS e Regione.

In Regione Sardegna vi è sempre stato un forte malessere organizzativo. I motivi di ciò sono sempre stati diversi tra loro. Fra i primi la demotivazione e il non coinvolgimento nelle dinamiche psicosociali interne, tra colleghi; spesso la comunicazione non verbale che diventa una gabbia che costringe in un ruolo che non è il proprio: tu NON sei quella persona. E, ancora, i colleghi che, a loro volta, ti vedono e interagiscono con te secondo i loro bisogni e le loro paure e non empaticamente, lasciandosi influenzare dal paravento del “non verbale”. Di questa situazione che tutti noi ben conosciamo, il risultato è stato un rendimento lavorativo generale molto meno attivo, proattivo e produttivo di quanto potrebbe invece essere. Ecco perché in questo periodo è stato sperimentato il lavoro intelligente alla lettera. Molti colleghi si sono sentiti più produttivi, più felici di comunicare con i mezzi digitali che mai avremmo pensato di utilizzare. Anche l’autostima è cresciuta ed ha aiutato a vivere questo momento “particolare “.

Poi, a proposito di crisi e delle sue manifestazioni, lasciatemi citare Albert Einstein, che così si esprimeva sulle potenzialità dei periodi critici nel suo “Il mondo come lo vedo io” del 1931: “La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”.

Tanti anni fa (come in un “C’era una volta”), in un luogo in cui ho lavorato per parecchio tempo, avevo fatto la fotocopia gigante di un articolo dal titolo “Ufficio felicità”, che campeggiava colorato con gli evidenziatori sulla nostra bacheca.

In quell’articolo, in linea di massima, era descritta la speranza di poter lavorare essendo felici.

Una delle cose più belle della vita.

Chissà che questa strana, profondamente negativa, esperienza di reclusione forzata che noi tutti abbiamo vissuto non sia invece la porta per un modo agile, intelligente che finalmente consenta quell’alto rendimento, tanto spesso vituperato sia dall’interno che dall’esterno. Sarebbe, infatti, opportuno che chi sta ai posti decisionali permetta di ritrovare quel “Ufficio Felicità” sempre desiderato come l’Araba Fenice.

Viviana Maxia