Vi propongo questo contributo di Ignazio Carta. Buona lettura!
Il discorso sulla proprietà dell’infrastruttura energetica è di importanza fondamentale in questo momento di passaggio – direi quasi epocale – da un’economia basata sulla combustione di materie prime fossili, climalteranti, a una fondata sulle energie pulite e rinnovabili.
Cercherò di evitare ogni ideologismo, da qualsiasi lato provenga: sovietismo o liberismo selvaggio, con i conseguenti postulati che non reggono alla prova della realtà.
Sappiamo che attualmente la proprietà degli impianti di estrazione e di produzione energetica è dei privati, principalmente multinazionali dal potere immenso, mentre la rete di distribuzione è quasi ovunque pubblica. Possiamo dire: i costi sono pubblici, i profitti privati, e la conseguenza sono i prezzi alle stelle che subiamo attualmente, che nessuno riesce a contenere, oltre al clima alterato dalle emissioni gassose in atmosfera. Quel’è dunque la possibile soluzione?
È da incoraggiare la proprietà privata per piccoli impianti che producono energia rinnovabile per uso familiare, anche in sovrappiù, o per piccoli-medi impianti ad uso agricolo, artigianale o industriale. Sostengo l’esigenza di incentivare, se non anche rendere obbligatorie, le Comunità energetiche rinnovabili a partecipazione pubblico-privata, che ottimizzano la produzione e il consumo a livello locale, passando dal regime termico (gas e gasolio) a quello elettrico pulito, consentendo a tutti gli abitanti di un centro abitato di usufruirne con vantaggio, anche a chi non può permettersi un impianto di proprietà.
Ma sappiamo che per raggiungere la completa autosufficienza energetica questi piccoli impianti non bastano: occorre ad esempio energia elettrica in sovrappiù per i sistemi di accumulo, per gli impianti di pompaggio idroelettrico, per gli impianti di ricarica degli autoveicoli; occorre decarbonizzare tutto il settore della mobilità e dei trasporti (navi, aerei, treni, camion) che copre attualmente oltre un terzo dei consumi energetici, e dell’industria ad alto fabbisogno termico, dove le fonti fossili altamente emissive di CO2 e NOx, carbonio e azoto, possono essere sostituite da un unico combustibile pulito: l’idrogeno verde prodotto con l’idrolisi dell’acqua, anche dal mare, che per essere sostenibile necessita di grandi quantità di energia rinnovabile.
Parliamo qui di grandi impianti che servono decine o centinaia di migliaia di utenze, e della rete di distribuzione che va ottimizzata: necessitano di un investimento finanziario iniziale molto rilevante, con spese di manutenzione costanti, a fronte però di una vita utile di decine di anni, con ricavi complessivi che possono superare di 4 o 5 volte l’investimento.
È senz’altro più conveniente in questo caso che l’energia la produca direttamente lo Stato, o la Regione Autonoma, eventualmente anche contraendo debito o promuovendo la partecipazione finanziaria diffusa dei cittadini; in modo che i ricavi vadano a beneficio di tutti i cittadini che usufruiscono di quell’energia. Per evitare un eccessivo impatto ambientale sul territorio, sono da preferire a mio parere, ove possibile, gli impianti eolici galleggianti in mare, isole confinate a grande distanza dalla costa.
Facciamo l’esempio di un impianto eolico offshore del costo complessivo di 2 miliardi di euro, che può rendere in 40 anni 8 miliardi di euro come valore dell’energia prodotta: se realizzato da privati (che magari usufruiscono anche di incentivi statali), gli utenti pagheranno 8 miliardi per acquistare quell’energia, e i pochi investitori guadagneranno 4-5 miliardi di utili. Se realizzato dal sistema pubblico, quegli utili potranno andare ad abbattere i costi delle bollette, con vantaggio di tutti gli utenti.
Non solo, ma lo Stato potrà fornire anche maggiori garanzie di tutela ambientale, sullo smaltimento a fine vita, e via dicendo.
Come si tutela l’iniziativa privata? Con le gare per l’installazione e la manutenzione degli impianti, dove le imprese potranno partecipare offrendo maggiore efficienza e minor margine sulla base d’asta.
Questo è un discorso valido ed estendibile a tutte le infrastrutture di interesse pubblico (i beni comuni).
E volendo possiamo qui innestare anche il discorso sulla sovranità energetica, e più in generale sull’autosufficienza economica, sull’autonomia politica, o quant’altro.
Possiamo produrre da soli in Sardegna la nostra energia, almeno in gran parte, esportarne anche un po’, scambiarla nei momenti di surplus e importarla quando il sole o il vento sono carenti, contribuire alla decarbonizzazione del sistema italiano ed europeo.
Il mio pensiero è che l’Indipendenza è un fattore sostanziale, non formale; possiamo realizzarla da soli, non rivendicarla dagli altri, che non la regalano; possiamo infatti essere sostanzialmente indipendenti o colonizzati a parità di regime, o con lo stesso Statuto. Siamo stati colonizzati dall’invasione petrolchimica (e lo siamo ancora, vedi il peso di Moratti o della multinazionale EP a Fiumesanto, che forniscono il 70% dell’energia sarda, fortemente inquinante e non certo a prezzi di favore); dipende da noi riuscire a liberarcene e non farci colonizzare nuovamente da altri speculatori, con le rinnovabili imposte a s’afferra afferra.
A me sembra un discorso logico, il dibattito è aperto, sono disponibile a ragionamenti più convincenti, sempre – spero – al netto dei preconcetti ideologici