Pino Cabras è un deputato sardo della Repubblica, eletto con Cinque Stelle.
Qua e qua potete trovare informazioni su di lui.
La mia opinione su Draghi è che ha in mente per l’Italia un programma che Emiliano Brancaccio qui ha definito di “distruzione creativa”, il quale andrà a svantaggio delle lavoratrici e dei lavoratori, dei loro diritti e dei loro figli. In più, sarà una azione di governo che affosserà i territori deboli, tra cui la Sardegna.
Cosa aspettiamo a creare una blocco sociale pronto ad opporsi?
Cabras si sta opponendo fermamente al governo di Mario Draghi. Partiamo da qua.
D. Perché no a Mario Draghi?
Il No nasce da tutto ciò che questo peso massimo dell’austerità ha fatto per troppo tempo in Italia e in Europa: ha costantemente operato per asservire la Repubblica italiana a un ‘vincolo esterno’ in nome di un rigore che piaceva all’alta finanza ma ci condannava a decenni di declino economico, precariato, decadenza industriale. Il successo del M5S in una certa fase storica è esploso proprio in qualità di “partito della crisi” che voleva rappresentare milioni di cittadini sommersi da quel che definisco l’Europeismo Reale (e non l’europeismo ideologico che cementa la nuova maggioranza) e che volevano un’alternativa al rigorismo finanziario. Milioni di persone hanno alzato la voce e usato le matite elettorali. Per anni i fondatori del M5S avevano sollecitato una riscossa popolare contro i dittatori dello spread. Oggi il sedicente Elevato è in realtà il Disinnescato. Noi no.
D. Draghi, prima ancora di presentare il programma (che conosceremo martedì), ha presentato i ministri. Cosa pensi delle ministre e dei ministri del governo?
Il nucleo decisionale dei ministeri che contano è in mano a un pacchetto di mischia di tecnocrati. I ministeri meno importanti sono lasciati a una corte minore di politici ridotti a una funzione ancillare. Risalta in modo smaccato la trazione del Nord (visto che al Sud lasciano le briciole), che si accompagna alla ri-trasformazione repentina della Lega salviniana pseudo-sovranista nella cara vecchia Lega Nord europeista-reale: vogliono salvare a tutti i costi la struttura industriale del Nord integrata nella catena del valore tedesca. Draghi ha scientificamente scelto i ministri in modo da spargere in ogni partito i semi dei dissidi interni paralizzanti: per il M5S, ad alta densità meridionale, ha scelto ministri settentrionali, tranne di Maio (che farà foto solenni nell’esilio dorato della Farnesina svuotato da un Premier che accentrerà tutto a Palazzo Chigi); per il PD ha scelto solo uomini alimentando gli scontri con la sensibile componente femminile di quel partito; per Forza Italia ha scelto i meno graditi da Berlusconi; per la Lega ha ottenuto la castrazione chimica di ogni sovranismo. Le acque dello Stato Profondo si fanno beffe di qualsiasi schiuma retorica della politica. Assistiamo al trionfo del “gattopardismo tecnocratico”.
D. Capitolo Recovery Fund. Molti, tra cui Emiliano Brancaccio, dimostrano dati alla mano come il Recovery Fund ed il relativo PNRR non sia nulla di eccezionale, nulla di epocale. Cosa ne pensi?
Concordo con queste valutazioni di Brancaccio, e non da oggi. Quando il 21 luglio 2020 iniziò l’autointossicazione della propaganda sulla “montagna di miliardi” che sarebbe arrivata nelle casse della nostra Repubblica, fui il solo parlamentare della maggioranza a pronunciarsi in modo molto critico, perché confrontavo i saldi netti che si prospettavano davvero. Erano piccole frazioni del PIL, poche decine di miliardi spalmati su più di 5 anni (quasi trascurabili dal punto di vista macroeconomico), che apparivano poca cosa di fronte alla caduta del PIL dell’Italia nel 2020 (circa 180 miliardi). Saranno prevalentemente prestiti, dentro un incubo di burocrazie e veti incrociati e con fortissime condizionalità che ci metteranno nelle mani della trojka. Un ‘vincolo esterno’ al cubo. L’alternativa funzionerebbe molto meglio, con pochi clic che produrrebbero la liquidità occorrente. Lo farebbe bene una vecchia conoscenza di Draghi: la Banca Centrale Europea. Ma l’Europeismo Reale non lo consente. Nessun “Piano Marshall” in arrivo, dunque.
Cosa farà allora Draghi?
Farà scelte politiche. Un bel reset per preservare i processi di innovazione dall’intromissione dello Stato per lasciarli in mano alle élite tecniche, economiche, finanziarie. Basta guardare al curriculum dei suoi tecnici. Saranno salvaguardati alcuni asset strategici della nostra alta borghesia nazionale, saranno rafforzati alcuni presidi in mano a entità straniere, e – come dicevo prima – salverà la struttura industriale del Nord con la diretta partecipazione di Giorgetti. Il compito di Draghi è il ‘pre-default selettivo dell’Italia’. Ossia, dopo una caduta del 9 per cento del PIL, scegliere chi far sopravvivere e chi sacrificare. Chi difenderà il Meridione e le Isole?
Certo, a Draghi – perché è Draghi – sarà temporaneamente consentito di fare deficit. In contropartita, dovrebbe assicurare che i ceti medio-bassi scivolino verso un’ulteriore “proletarizzazione”. Ampi settori economici, nell’imprenditoria, piccola e micro, sarebbero abbandonati al loro destino. L’economia di prossimità sarà sacrificabile. Chi non regge il passo, sarà sacrificato e assorbito, magari dai grandi giganti del web. In cambio, qualche sussidio. Ecco perché Draghi vuole perfino potenziare il reddito di cittadinanza.
Recentemente Draghi ha previsto la necessità di una distruzione selettiva via mercato delle “imprese zombie”. In qualità di presidente del “Gruppo dei 30” (un’organizzazione di finanzieri e accademici con sede a Washington fondata dalla Rockefeller Foundation), ha stilato una relazione piena di ricette per il mondo post Covid. L’idea: niente soldi per tenere in piedi le aziende virtualmente vicine al fallimento, le “aziende zombie”. Tutto molto razionale, tutto pronto a sacrificare centinaia di migliaia di piccole imprese oggi in ginocchio, che subiranno la “distruzione creativa”.
D. Beppe Grillo sta puntando tutto sulla svolta “ambientalista” del governo Draghi. Cosa ti aspetti?
Nulla di veramente innovativo. Grillo ha ceduto tutto e per farlo ha magnificato la creazione del “ministero della Transizione ecologica”. Nel quesito presentato per estorcere agli iscritti del M5S il sì a Draghi ha parlato pomposamente di “super-Ministero”, che vi chiedo di immaginare pronunciato con la voce di Paolo Villaggio. Avrebbe dovuto incorporare anche lo Sviluppo Economico, ma Draghi se ne è ben guardato. Ma cosa significa in concreto? Semplice: un decreto-legge sposterà dipartimenti e direzioni generali che adesso sono in altri ministeri (con tanto di strutture, risorse e personale) e li accorperà sotto un’unica nuova sigla. Saranno cambiate alcune targhe in ottone e la carta intestata. In cambio di questo Tetris di ufficetti, la dirigenza del M5S capitola su tutto quello per il quale erano stati chiesti e ottenuti i voti, nascondendosi dietro a un alibi. Per il resto la Germania otterrà i vantaggi di un rilancio del settore automobilistico con le autovetture elettriche, che avrà qualche vantaggio per i suoi fornitori del Nord italiano.
D. Passiamo alla Sardegna. Esiste una questione sarda? In un contesto politico e sociale dominato dal pensiero unico neoliberista, darwiniano, ha senso ed è giusto, a tuo parere, esercitare il “diritto a decidere” del popolo sardo?
La nuova divisione internazionale del lavoro – che con il “reset” della crisi Covid ridisegna con estrema rapidità le gerarchie fra comunità umane – colpisce e colpirà duramente la Sardegna. Notiamo già da tempo effetti drammatici sugli equilibri demografici e sociali della nostra terra. Viene perfino inibita la spinta delle nuove generazioni per cambiare le condizioni di vita dei sardi, mentre si inaridiscono le occasioni in cui esprimere un’identità sarda capace di ricrearsi, nella lingua come nelle formazioni sociali. Sopra i vecchi rapporti economici di tipo coloniale legati alla relazione con le classi dirigenti italiane si aggiunge la stratificazione materiale e culturale imposta dalle imprese Big Tech multinazionali. La spinta propulsiva della classe dirigente autonomistica della Rinascita si è spenta da vent’anni e più, sostituita da una palude istituzionale sempre più impotente e priva di visione. Serve una scossa fortissima che agiti le masse per scoprire una nuova “missione” della Sardegna fuori dai progetti politici vissuti fin qui. Rispetto a chi reagisce con la proposta del riconoscimento costituzionale dell’«insularità» (brutalmente: c’è un divario con il Continente, per favore il Continente ci aiuti a colmarlo), preferisco una sfida che metta al centro un’idea di autodeterminazione del popolo sardo che guardi lontano e preveda la crescita concreta del reale autogoverno, anche con tutte le inevitabili gradualità. Una sfida che possa unire gli indipendentisti e i neoautonomisti, non nel solito cartello elettorale che scade come uno yogurt il giorno dopo le votazioni, ma in un progetto di governo con un respiro paragonabile a quello che da anni vediamo in Corsica.
D. Ultima domanda Sei stato delegato della CGIL nel tuo posto di lavoro. Landini ha dato credito a Mario Draghi nei primi giorni di crisi ma, di fronte alla lista delle ministre e dei ministri, se ne è distanziato. Cosa dici a lui, alle lavoratrici e lavoratori, e particolarmente alle lavoratrici e lavoratori iscritti alla CGIL?
La ragione fondamentale della crisi sindacale che ha accompagnato il decadimento del potere contrattuale dei lavoratori negli ultimi decenni nasce dalla profonda incomprensione dei sindacati di cosa sia il meccanismo di potere dell’Europeismo Reale, dalla rinuncia a considerare cosa sia davvero l’attuale Unione Europea e quali siano i moventi degli atti compiuti dai suoi protagonisti. È una bancarotta culturale prima che politica e sindacale che ora rischia di lasciare milioni di persone senza uno scudo. Milioni di lavoratori sono quasi indifesi rispetto alle ristrutturazioni e centralizzazioni di interi settori intorno a progetti di digitalizzazione che disarticoleranno e ricomporranno il mondo di lavoro, con molti esuberi. Investirei tutte le risorse più preziose del sindacato per ricostruire una conoscenza diffusa di questa fase storica ed economica per affrontarla con la massima consapevolezza e riconquistare potere e diritti per i lavoratori.
PS. La proposta politica che Pino Cabras fa al mondo indipendentista e dell’autodeterminazione mi sembra corretta ed auspicabile.