L'ora dei Sardi

“L’ora dei sardi”, parte economica, a 20 anni dalla sua pubblicazione

Nel 1999 La Fondazione Sardinia diede alle stampe L’ora dei sardi un volume che raccoglie gli atti di cinque seminari su istituzioni, economica, sociale, cultura-lingua e identità della Sardegna. Secondo la Fondazione le relazioni presentano “una proposta di riflessione sul presente della Sardegna”.

Potete trovare il volume di cui parlo in questo post qua


La parte economica consta di 4 contributi: “La Sardegna terra insulare. Non isolata”, di Alberto Merler, “Economia e/o società”, di Eliseo Spiga, “Ciò che non possiamo attenderci dagli altri”, di Giuseppe Usai e “La regionalizzazione delle organizzazioni” di Giacomo Meloni.

Come ogni periodo storico, a maggior ragione in una ottica di lungo periodo, guardare a venti anni prima permette di indicare le tendenze, le analogie e gli elementi di novità che, magari in germe già venti anni prima, si sono poi presentati in tutta la sua forza. Allo stesso tempo, invece, guardare a quanto si scriveva sulla economia della Sardegna venti anni fa permette di individuare le mancanze e le assenze, quanto meno di ciò che si esamina.

Una assenza che subito emerge, leggendo i quattro saggi, è quella della politica economica europea. I vincoli europei e delle agenzie di rating, che così tanto hanno sconvolto la materialità di tutto il sud Europa e della Sardegna e dal 1999 in poi, sono completamente assenti nei saggi esaminati.

Viene citata, nel saggio di Giacomo Meloni, la “piattaforma dell’EUR” e gli accordi del 1991-93, ma né il trattato di Mastricht né l’imminente affermazione dell’euro.

L’euro e la politica economica europea sono stati una grande novità degli ultimi venti anni, così come, nei prossimi venti, il cambiamento climatico e la transizione energetica saranno temi globali, anche se oggi vengono visti come interesse di qualche adolescente sognatore.

Sardegna e insularità, invece, è un tema di grande attualità per la classe politica sarda. I problemi della Sardegna, per un vasto ventaglio di forze politiche e sociali, capitanate dai Riformatori, si possono risolvere con l’inserimento in Costituzione di una norma che stabilisca che la Sardegna è un’isola e, quindi, gode di svantaggi che devono essere compensati.

Il saggio di Alberto Merler affronta questi temi e se, come scrive, “l’autonomia, in definitiva, sembra assumere i connotati della forma interna dell’insularità”, allora la risposta della classe dirigente, venti anni dopo, evidentemente fallita l’autonomia, è rivolgersi a Roma, in un afflato neo-fusionista (ricordate la perfetta fusione del 1848?), per cui i problemi della Sardegna si risolvono facendosi dare da Roma le risorse necessarie per “colmare il gap, la distanza” tra la Sardegna ed il “resto d’Italia”.

Merler nel suo saggio, con venti anni di anticipo, viviseziona e smonta questa retorica e questa pratica “rivendicazionista”, che deresponsabilizza chi sta in Sardegna e lo rende ancillare rispetto a quanto si decide a Roma.

Non entriamo nella cronaca di questi giorni solamente perché non è tema dell’articolo…

Eliseo Spiga riconosce come il “modello di sviluppo” sardo si scontri con dinamiche generali, epocali, le quali oggi definiremmo di “razionalità neoliberista” e di come sia imprescindibile, per dare un futuro alla Sardegna, mettere questa razionalità in discussione.

Giuseppe Usai, nel saggio “Ciò che non possiamo attenderci dagli altri” riassume che “la cosa pregiudiziale e fondamentale che i sardi non si possono attendere dagli altri, e che è decisiva, consiste nella conquista di un livello di autocoscienza di nazione ben superiore a quello esistente”. Una verità permanente, insomma.

Chiude il filotto Giacomo Meloni, il quale già nel 1999 discute se il sindacato sia un organizzatore di servizi o se si attrezzi per discutere come organizzare il lavoro e come cambiarne la struttura. Il saggio di Meloni interroga, ed ancora oggi è attuale, su quanto le organizzazioni italiane, in questo caso i sindacati, siano portatrici di significanti “nascosti”, “ovvii”, “permanenti”, i quali non tengono conto del carattere altro della Sardegna rispetto all’Italia.

Le relazioni allora proposte, i cui contenuti sono largamente attuali, oggi andrebbero accompagnate da tutta una serie di studi complementari, sempre attinenti ai temi economici.