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NATO 2030, cosa cambia per noi – di Gianfranco Bitti

Ho avuto la curiosità di leggere i documenti programmatici dell’Alleanza Atlantica (NATO 2030) stilato da un Reflection Group appositamente messo al lavoro, e di seguire alcuni forum e podcast degli addetti ai lavori, cercando di capire quale sarà il nostro destino futuro (ossia, come lo intendono quelli che possiamo eufemisticamente chiamare alleati), elementi  su cui proverò a fare alcune sintesi.

Premessa

La Nato è una alleanza che regola il rapporto tra le nazioni europee della zona di influenza stabilita dagli accordi di Yalta ed il vincitore della WWII (gli Stati Uniti), che ne ha preso il controllo includendo, dopo l’89, molti dei paesi dell’ex Patto di Varsavia. Si tratta di un legame che, sotto la garanzia dell’ombrello nucleare e di una forte presenza di truppe, garantisce la fedeltà e l’allineamento alla politica imperiale degli Stati Uniti da parte dei paesi membri. Governi, istituzioni militari, economiche, amministrative, se non allineate, sono considerate velleitarie, ostili e da neutralizzare.

Questa da sempre la visione Nato rispetto ai paesi membri e, in un momento di riattizzato scontro tra competitori globali nel quale il neutralismo è diventato impraticabile, i governanti occidentali a tutto pensano fuorché ad uscirne: dovrebbero  mettere in conto imponenti spese militari, ed un forte controllo sulla società civile anche solo per ipotizzare la propria indipendenza.

Nuovi orientamenti dell’alleanza

L’alleanza atlantica, con somma tristezza delle forze armate italiane, si è sostanzialmente disimpegnata sul fianco Sud, ovvero dove siamo noi, e spinge per sviluppare la sua attività verso l’Artico, dove il cambio climatico apre nuove appetibili rotte marittime da controllare. C’è inoltre la richiesta pressante agli alleati perché impegnino le proprie flotte in costose crociere nei mari cinesi nel nome della “libertà di navigazione”. Sono richieste che vedono tiepidi gli alleati, scottati dalla costosa sconfitta afghana, e dal sinistro parallelo con la guerra coloniale detta dei Boxer (1900), anche quella giustificata dalla “necessità di garantire la libertà di navigazione”. Questa per noi potrebbe già essere una buona notizia, poiché ci alleggerisce dalla sua ingombrante presenza.

Di NATO vera e propria in Sardegna, infatti, è rimasto ben poco: chiuse le basi di Decimomannu, La Maddalena, Limbara, quello che resta sono le sempre meno frequenti esercitazioni congiunte tra Teulada e Capo Frasca. Nella maggior parte dei casi le basi (tra le quali dimentichiamo sempre Capo Marrargiu) vengono utilizzate per attività di addestramento dalle forze armate italiane, che a loro volta le concedono ad aziende di alleati ed amici per le attività sperimentali (Salto di Quirra) e forze armate straniere per addestramento, quasi sempre a pagamento. Lo conferma il ruolo di recente assegnato a Decimomannu, trasformata in campo scuola internazionale (a pagamento)  per la formazione di piloti militari di paesi amici ma gestita da una azienda privata, seppure a partecipazione pubblica (Leonardo).

Il documento programmatico Nato 2030

La NATO non attraversa oggi un periodo di salute. La incoerente politica isolazionista di Trump ha lasciato una scia di incomprensioni tra gli alleati. C’è un ampio scarto (lo evidenzia il rapporto) tra le imponenti (e pericolose) attività militari a difesa dei confini est in funzione antirussa, e le ambizioni smodate di alcuni  paesi membri, spesso in competizione tra loro fino al rischio del confronto armato (Libia, Mediterraneo Orientale, Caucaso).  Uno scarto importante, dunque, tra l’alleanza militare, che marcia in perfetta armonia avendo un comando unificato, e quella politica, divenuta frammentaria e spesso velleitaria.

Per gli ambienti militari  NATO, ad esempio, l’esistenza dell’Unione Europea è considerata poco più di una gentile concessione revocabile a comando, mentre i politici UE pensano che potrebbe sopravvivere alla fine dell’alleanza. Le crepe ci sono, e con il passare del tempo rischiano di diventare insanabili, tanto che il documento si dilunga molto in raccomandazioni su questo tema.

La strategia di contenimento dei competitori strategici globali degli Stati Uniti (soprattutto Cina e Russia) rimane al centro delle attività dell’alleanza, mentre la NATO prova a mettersi all’occhiello, tra i futuri compiti da affrontare, la lotta al cambiamento climatico, peraltro accolta nei forum militari NATO con una certa ilarità.

Importante invece, lo sviluppo ed il contrasto delle EDT, ossia le tecnologie emergenti distruttive (intelligenza artificiale, sistemi d’arma a guida remota, spazio, cloud technologies, missili ipersonici, tecnologie dei quanti e biotecnologie, e rafforzamento e incremento delle capacità umane) dove viene fatto notare  il ritardo di numerosi stati membri in questi campi di sviluppo tecnologico militare,  la loro resistenza ad investire le cifre consistenti in R&S necessarie, ed a metterle in comune.

La maggior parte degli aderenti di antica data ha finora preferito accettare le garanzie imperiali soprattutto per il vantaggioso rapporto costi -benefici: spese militari basse (2/5% del PIL) che saranno anche molti soldi, ma enormemente inferiori a quelli da spendere se dovessero fare da soli, mercati ricchi aperti con accordi commerciali accettabili, possibilità di accedere facilmente ai mercati finanziari per coprire i propri deficit.

Concludendo

Il massiccio sforzo promozionale che vede schierate cospicue risorse in pubbliche relazioni, social media e lobbing, non è riuscito a frenare presso le opinioni pubbliche europee la perdita di credibilità della NATO, che dopo l’89 si è riciclata in guerre costose e discutibili (Serbia e Afghanistan) mentre Il soft power dello stile di vita occidentale, falcidiato dalle crisi finanziarie, non ha più le attrattive di un tempo.

La rottura del monopolio informativo mainstream da parte dei social media e la capacità dei competitori globali di fornire fonti informative (o disinformative a seconda dello schieramento) alternative ha ulteriormente contribuito a questo fenomeno.

Così l’immagine di bastione delle democrazie liberali e dei diritti umani, da contrapporre al fascino esercitato da paesi considerati autoritari (Cina e Russia in primis) si è quasi del tutto offuscata, vuoi per la presenza al suo interno di paesi (Turchia, Polonia, Ungheria e baltici) che di quei principi fanno strame, che per l’affettuosa amicizia di molti importanti membri dell’alleanza verso regimi impresentabili e organizzazioni dichiaratamente terroristiche.

La differenza in investimenti, tecnologie disponibili, capacità operative nel campo della difesa tra Stati Uniti e paesi NATO si va estendendo, e consoliderà la dipendenza dei paesi dell’UE in questo campo. La speranza di molti ambienti NATO risiede nella capacità di Biden e dei democratici di mettere a freno le ambizioni di alcuni alleati, e condividere almeno alcune delle scelte che riguardano la sicurezza dell’Europa.