Sono sempre stata affascinata dai nomi delle persone. Quando so che nasce un bambino o una bambina chiedo sempre quale nome gli/le è stato dato. Perché ogni nome ha una sua storia.
Ci sono genitori che decidono insieme e quelli che si dividono l’onore (il nome di un/una figlio/a a testa); altri che per tradizione familiare attribuiscono quello di un avo; altri ancora che scelgono per il/la loro erede il nome di un personaggio famoso, di un attore, cantante, autore o personaggio storico, ecc.. Chi fa uno studio specifico per attribuire un nome che sia di buon auspicio per il futuro o altri che più semplicemente decidono per un nome “che mi è sempre piaciuto!”.
In realtà anche in questi ultimi casi c’è comunque una storia. Mio padre, per esempio, voleva chiamarmi Enrica, in onore del grande Enrico Berlinguer; mia madre Sandra (perché pare le piacesse); vinse una mia zia materna che disse che Alessandra era un nome più completo. Mio padre ci riprovò con mio fratello. In quel caso io, che avevo 5 anni e mezzo e mi ero invaghita di un bambino poco più grande, ossessionai tutta la mia famiglia fino a che mi accontentarono: mio fratello fu chiamato Federico!
Ogni nome porta con sé una storia semplice, romantica, drammatica, simpatica: racconta di una scelta autonoma o collegiale.
Dal 2013 quando Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa Francesco sono tanti i bambini che portano questo nome, così come ai tempi del famoso giocatore del Napoli, Diego Armando Maradona, anche quel nome spopolò. Ci sono poi nomi impronunciabili, quelli intramontabili, cioè presenti in tutte le generazioni, e quelli che seguono le “mode”. Non conosco molte quarantenni Sofia o Viola mentre conosco moltissime quattrenni …..
A volte si sceglie un nome per devozione religiosa, nomi italiani o internazionali, magari esotici, nomi di Stati o nomi per i quali è difficile identificare il genere di appartenenza (per esempio Andrea usato per maschio o femmina). Nomi brevi oppure composti così da accontentare più persone.
Ci sono nomi che scarteremo a priori perché ci ricordano il nostro capo o quella compagna di classe che ci stava antipatica; altri che ci portiamo dall’infanzia come nome preferito e che sin dalla tenera età decidiamo di utilizzarlo per il nostro figlio o la nostra figlia. Salvo scoprire che al nostro bambino o alla nostra bambina non “dona” e passiamo all’opzione due…
Altro motivo della scelta può essere l’”abbinamento” col cognome: pronunciandoli insieme quale suona meglio? Ma a quale cognome ci riferiamo? A quello del padre, della madre o a quello del padre e della madre?
In molti paesi della Sardegna è ancora consuetudine chiedere a chi si ritiene non appartenga a quella comunità o si ha un dubbio sull’appartenenza: “Fillu/filla de chini ses?”. La risposta dovrebbe essere il nome e il cognome del padre e/o della madre. Perché dire solo il nome sarebbe poco indicativo, a meno che non si tratti di uno talmente particolare da essere facilmente individuabile. In alcuni paesi più del nome e cognome ha importanza il soprannome della famiglia di appartenenza.
Anche i cognomi hanno una loro storia: è possibile ricostruire tutta la genealogia e capire da chi hanno origine e forse anche il perché. Un esercizio comune a tanti è quello di indovinare da quale parte della Sardegna o dell’Italia si è originari. Quando dico il mio cognome mi chiedono in prima battuta se è di origine francofona, poi quando dico che è Veneto, provano ad indovinare in quale parte della Sardegna i miei avi si trasferirono. Solitamente optano per Arborea. Pochi ricordano che, invece, un discreto numero di veneti andarono a lavorare nelle miniere del Sulcis Iglesiente, dove ancora oggi c’è una rappresentanza di questi cognomi.
Il cognome, unito al nome, serve ad identificare una persona in modo certo e univoco. La maternità è sempre certa dicevano i latini (“mater semper certa est”) e con l’attribuzione del cognome si riconosce formalmente la paternità. E’ possibile dare il cognome solo della madre in caso di coppie di fatto, quando il padre non riconosce il nascituro. In genere quindi il cognome è quello paterno.
Il cognome identifica la famiglia a cui apparteniamo. Quante persone conosciamo sin dalla nostra infanzia e di cui non sappiamo il cognome della loro madre?
L’attribuzione del cognome ha una implicazione sociale e culturale importantissima: è come dire al resto del mondo che apparteniamo a quella/e famiglia/e. La presenza dei cognomi di entrambi i genitori rende visibile anche all’esterno il collegamento familiare col ramo paterno e materno. Questo contribuisce a formare nei bambini e nelle bambine la consapevolezza di appartenere a un’area familiare ampia, bilaterale e di pari dignità sociale.
Nel nostro ordinamento giuridico non esiste una norma che impone l’utilizzo del cognome paterno ma è desumibile dalla lettura di altre leggi. L’art. 3 della nostra Costituzione e la carta dei diritti dell’Unione Europea a seguito della ratifica del Trattato di Lisbona vietano ogni forma di discriminazione tra uomo e donna. La presenza anche del cognome materno evidenzia la pari dignità familiare e sociale di entrambi i genitori, contribuisce allo sviluppo del rispetto verso l’altro genere. Indirizza, dunque, il/la minore verso una visione non patriarcale della famiglia e della società: ciò ha un valore altamente educativo! Il doppio cognome si porta dietro ragioni psicologiche, educative e sociali che riguardano la formazione della “cultura” del/della bambino/a.
E’ un po’ come il discorso del linguaggio: ciò che non si nomina, non esiste, non viene pensato, immaginato e considerato. Basta non nominare o ignorare per escludere qualcuno o qualcosa, per emarginare o annullare la sua esistenza.
La presenza di doppi cognomi risale alla notte dei tempi, più comunemente era di interesse delle famiglie o casate nobiliari/aristocratiche che col cognome tramandavano titoli ed averi. Ma la questione della legittimità costituzionale dell’automatica attribuzione del cognome paterno fu affrontata nel 2004 da una sentenza del Consiglio di Stato che stabilì, che con valide motivazioni, si poteva aggiungere il cognome della madre a quello del padre. Il Tribunale poteva accogliere la richiesta o negarla. Nel 2006 la Corte Costituzionale auspicava un intervento legislativo finalizzato alla piena realizzazione dell’uguaglianza tra padre e madre.
Indirizzo comune era il fatto che l’attribuzione del cognome paterno fosse un retaggio della tradizionale impostazione patriarcale che è sempre meno corrispondente alla visione attuale della famiglia.
L’Italia nel febbraio 2014 venne condannata, con una sentenza della Corte di Strasburgo, per l’assenza di una norma che consentisse ai genitori di attribuire alla prole il cognome della madre, violando così il divieto di discriminazione fondata sul sesso dei genitori.
L’8 novembre del 2016 una sentenza della Corte Costituzionale, pubblicata il 21 dicembre dello stesso anno, stabilì che, previo accordo tra i genitori, fosse possibile la registrazione di entrambi i cognomi.
L’iter prevede di recarsi all’ufficio di Stato Civile, collocato nel Comune di residenza o nella sede ospedaliera, dove è avvenuto il parto, e dichiarare l’intenzione di entrambi i genitori di voler dare il doppio cognome. Se le parti non raggiungono un accordo resta valida l’attribuzione del solo cognome paterno (successivamente si potrà presentare un ricorso in Tribunale). Non è prevista la compilazione di documenti specifici bensì risulta sufficiente la manifestazione orale della volontà della coppia. Il/la nascituro/a sarà registrato con il doppio cognome, prima quello del padre e poi quello della madre, da riportare entrambi nella firma. Questa procedura si estende alle coppie conviventi e vale anche per figli adottati.
Successivamente alla nascita è comunque possibile richiedere l’aggiunta del cognome materno presentando un’istanza motivata alla Prefettura competente per territorio.
L’intervento della Corte Costituzionale è da considerarsi quindi un passo importante a tutela della dignità della donna e del principio di pari opportunità, ma il cognome materno rimane un’aggiunta e, in assenza di norme specifiche, una concessione o autorizzazione del padre. Questo continua ad essere un punto critico della sentenza ma il vuoto legislativo sull’argomento rileva anche altri importanti dubbi: cosa succederà quando la persona col doppio cognome avrà a sua volte figli/e? Quali cognomi si perderanno? Cosa succede per le coppie omosessuali?
In questi anni ci sono stati numerosi tentativi di regolamentare l’attribuzione del doppio cognome ma senza successo. Uno degli ultimi interventi è stato fatto dalla deputata Fabiana Dadone, prima di diventare ministra della Pubblica Amministrazione, che ha presentato una proposta di legge per parificare il cognome materno e quello paterno consentendo una vera scelta nel rispetto del principio di pari opportunità.
L’Italia è ancora indietro rispetto ad altri Paesi Europei, come la Spagna in cui i genitori possono accordarsi sull’ordine dei cognomi e la Francia in cui è possibile sceglierne solamente uno, paterno o materno, oppure entrambi.
In Italia non è facile sradicare la consuetudine: dal 2017 ad oggi l’attribuzione del solo cognome paterno è ancora vistosamente prevalente. Solitamente l’opzione del nuovo cognome (i due cognomi insieme diventano uno solo) è considerata un inutile cambio dell’ordine naturale delle cose e comunque “è sempre stato così!”. La questione del riconoscimento del cognome materno al pari di quello paterno è spesso considerato un argomento secondario, come quando si parla di linguaggio di genere. Invece chi se ne fa sostenitore/sostenitrice non intende persegue un principio o un obiettivo simbolico bensì affermare pari diritti, pari dignità e pari opportunità