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L’arcivescovo Miglio rovescia i ruoli: non rimane lui a Villamar e Mandas, vada la parte umiliata ed offesa a rapporto da lui – di Gianfranco Murtas

May 23rd, 2015  |  Published in In evidenza, Politica, Sardegna, Varie

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Da Gianfranco Murtas ricevo il seguente contributo. Ho sempre rifuggito l’idea per cui “la Chiesa si occupi della Chiesa, e lo Stato dello Stato”. Anche se non siamo credenti, da laici dobbiamo occuparci della vita sociale di un’istituzione importante come la Chiesa cattolica, in Sardegna ed in Italia.

Vi propongo il seguente contributo, che affronta le drammatiche notizie di questi giorni.

Enrico Lobina

 

L’arcivescovo Miglio rovescia i ruoli: non rimane lui a Villamar e Mandas, vada la parte umiliata ed offesa a rapporto da lui
di Gianfranco Murtas

A dar retta alle cronache pubblicate da L’Unione Sarda del 18 maggio, nella domenica che immediatamente precede la beatificazione canonica, in San Salvador, dell’arcivescovo-martire Oscar Arnulfo Romero, il povero vescovo di Cagliari si è presentato di mattina presto nella parrocchiale di Villamar («Sono venuto a quest’ora perché era l’unico momento libero della giornata») per ribadire l’invito: «Se avete qualcosa da dirmi venite a Cagliari. Alcuni lo hanno già fatto. Sono pronto a ricevere chiunque. I momenti di difficoltà si superano insieme».
Perfino inimmaginabile la prima parte del discorso, a parte l’incipit sul ritaglio di tempo dedicato alla comunità in pena, incipit che rivela però come egli fatichi a capire la enormità del dolore di una comunità presso la quale, come presso quella di Mandas, avrebbe dovuto, a mio parere, trasferirsi giorno e notte, come spesso capita quando si vuol soccorrere, con una prossimità che si tocca, chi è in lutto.

Perché quel «venite voi da me» integra perfettamente la sua distanza dalla sensibilità delle persone. E tutto, ancor di più spiega: spiega la mancata risposta a don Cannavera per l’esclusione di diversi ragazzi dell’IPM dall’incontro col papa (che proprio loro voleva incontrare!) per far posto invece, e in prima fila, all’ex presidente milionario del Cagliari calcio. O i cinquecento abbandonati al SS. Salvatore di Serdiana per andare a gustarsi (?) una partita allo stadio provvisorio e interdetto di Is Arenas. E tutto il resto che altre volte ho elencato.

Certo ci muoviamo spinti da modalità o priorità soggettive, né io posso permettermi di giudicare le intenzioni, ma pur devo cogliere, capire e valutare le situazioni concrete per come si presentano. E posso dire – potrò dire – delle lunghe comunicazioni e richieste di intervento correttivo e riparatore su “fascicoli” aperti in diocesi nel 2010 e prima e dopo, e oggi all’ordine del giorno in episcopio, nelle comunità, nelle redazioni dei giornali (nel novero L’Unione Sarda che non mancò a suo tempo – con la pessima direzione Figus che sembrava, a leggerne gli editoriali, una succursale di Forza Nazionale – di censurare i pezzi riguardanti, con tono critico, l’arcivescovo Mani): comunicazioni e richieste di intervento che per gran parte scrissi io condividendole con amici stimati e preziosi che si assunsero in pieno la responsabilità personale dei report: così ai vertici della curia vaticana, così, in busta riservatissima per gli oggetti più spinosi, al papa Benedetto.

Lì entrò, con la vicenda del diacono oggi riabilitato (e da noi difeso pur se portatore di una ecclesiologia pressoché opposta alla nostra, mostrandosi egli coinvolto nelle letture controriformistiche e noi essendo, invece, giovannei e paolini tutti conciliari ed ecumenici), lo scandalo dei processi vaticani che negarono giustizia a don Mario Cugusi per gli arbitri da lui subiti nell’affaire di Sant’Eulalia, entrarono i dossier sulle faraoniche spese (di denaro pubblico) per il college Sant’Efisio, e quelli relativi al declassamento del Seminario Regionale ad opera di un presidente della Conferenza Episcopale Sarda che, in quanto arcivescovo di Cagliari, privava quella “comunità formativa” dell’apporto d’una ventina (tutti!) gli studenti cagliaritani. Ciò nel silenzio – tale è pervenuto, s’è materializzato! all’opinione ecclesiale – degli altri confratelli vescovi. Nell’elenco anche la rimozione del Concilio Plenario Sardo, con quello stridulo (colpa nella colpa, o colpa prima) «non m’interessa il Concilio! l’avete fatto prima che arrivassi io in Sardegna e non mi impegna punto»…

Non ebbe risposta don Spettu rettore in carica e rettore giubilato del Seminario Regionale quando indirizzò lettere drammatiche a diverse istanze regionali e curiali – le pubblicherò a giorni – in difesa di quella istituzione offesa al pari della Facoltà Teologica dalle diserzioni e dalle deportazioni.

Le omissioni da parte dei responsabili della Chiesa sarda, comprimari o sottoposti al presidente della CES (eletto, mi risulta, con scarto minimo dei voti, divisione verticale dopo il ritiro dell’arcivescovo Tiddia, nel 2006) che neppure pubblicava i verbali delle riunioni (altra colpa nella colpa, nel silenzio generalizzato), sono state enormi; sono enormi le responsabilità d’ufficio dei vertici vaticani anche riguardo alle segnalazioni di certa licenziosità e certa inadeguatezza a ricoprire funzioni apicali di cui si aveva contezza e prova documentale; sono enormi – pari a quelli che avevano colpito il diacono (e tali riconosciute dalla commissione terza, di competenti incaricati pochi mesi fa da papa Bergoglio) – gli abusi perpetrati contro don Cugusi (ma abusivo, sia chiaro, non è il suo attuale parrocato, perché Serdiana vale Cagliari, vale anche la cattedrale di Cagliari il cui giovane parroco/exparroco cantò il Te Deum per lo scampato pericolo di don Mani fra i rivoluzionari di Sant’Eulalia!); sono enormi le solitudini di questi nostri poveri vescovi – del precedente cagliaritano come dell’attuale – i quali non hanno potuto contare, non possono contare sull’amicizia critica dei collaboratori: uomini consolati e rosolati dal pensiero unico, il loro.

 

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