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Cagliari e il rapporto con l’area vasta

January 31st, 2011  |  Published in Cagliari  |  2 Comments

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Dovremmo indagare perché la Sardegna subisce in maniera più forte rispetto ad altre aree , una crisi economica creata lontano da qua, al centro dell’economia mondo, che colpisce i deboli: dopo aver salvato le banche coi nostri soldi, noi non saremo salvati.

Quello che ci vuole è un progetto alternativo per Cagliari e la Sardegna. Che oggi non c’è. Anzi, siamo tornati indietro. Riguardo Cagliari, basterebbe dare uno sguardo alla rivista GEO, che nel 2007 dedicava la copertina al futuro di Cagliari. Tutto ciò che si raccontava sarebbe stato fatto, è bloccato. Quasi non fosse mai esistito.

C’è una questione gigantesca: il rapporto tra Cagliari e i comuni vicini. C’è la capitale che si spopola (157.000 abitanti oggi, 205.000 nel 1991), e l’area urbana che si espande. Come una piovra, l’ambiente urbano ruba terreno e territorio, nascono periferie in un ambiente che conta circa 400.000 abitanti (non molti, un quartiere di Roma o Parigi, per non parlare di Pechino o New Delhi).

Come scrive Perulli “Non c’è città che non sia augenscens, che non si dilati, che non deliri (la lira è il solco, segno che delimitava la città, delirio vuol dire uscire dalla lira”[1].

Area vasta è la città che, guidata dalla forza del mercato, immobiliare innanzitutto, si espande. Lo spostamento della popolazione dalle zone interne verso le coste ha ingrandito, oltre il polo gallurese, il cagliaritano.

Cagliari ha 157.000 abitanti. Cagliari con i comuni contigui 378.000. Ci sono più abitanti nei comuni contigui che nella capitale. E per area vasta possiamo intendere non solamente i comuni contigui.

Partiamo dalla storia: “Tra la città e la campagna, dovendo scegliere un principio ideale, o più modestamente una prospettiva da cui guardare alla vicenda della Sardegna in età moderna e contemporanea, la storiografia […] ha da tempo scelto la campagna. Non che manchino, ovviamente, studi sulla città: semplicemente è la ruralità, e in specie quella pastorale, a dimostrare un’efficacia paradigmatica di gran lunga superiore”.

“Mentre i contadini e i pastori si sono bene guadagnati un forte risalto ideologico e simbolico con le imprese della Brigata Sassari – e già prima con i banditi belli […] – le figure dei cittadini illustri menano una pallida memoria tra massoni e rotariani”.

“La voce che giunge dalla campagna è […] di segno prevalentemente popolare e democratico, non elitario e conservatore[2].

Tutto ciò è vero. Propongo di lasciare alla storia ciò che è della storia, e alla politica ciò che è della politica. Non può più essere così.

La Sardegna che coopera in un Mediterraneo di pace e non di guerra come oggi, ha bisogno di un salto di qualità. Ha bisogno di una capitale vera. I valori, la socialità, la cultura, l’economia e l’organizzazione collettiva (urbanistica) di Cagliari e dell’area vasta devono accogliere, integrare e rafforzare le potenzialità di tutta la Sardegna.

Questo disegno oggi manca.

Dobbiamo fare un salto concettuale. Portiamo tutta l’area metropolitana nella modernità, ma anche oltre. Come scrive Silvano Tagliagambe, “la relazione nodo-link, che costituisce la trama e la possibilità stessa della rete, interpreta la nuova spinta che ha la città, in quanto disegna il rapporto tra ciò che è stabile ([…] il luogo) e ciò che serve per andare oltre, per spostarsi altrove, e dunque per oltrepassare l’ambiente di riferimento. […]

La città è […] intesa come una ‘sfera’ fatta di funzioni […] in gran parte immateriali, per cui essa non costituisce più il luogo protetto […], ma è un ‘grumo denso’ di attività ed energia che  esercita sul territorio un campo di forza, che però non è continuo, ma variegato e discreto. […]

Emerge così quella che oggi si chiama la teoria delle tre città e cioè:

–         la città come la più alta espressione di una collettività capace di ‘organizzare lo spazio fisico’ in funzione delle proprie esigenze e dei propri obiettivi […] (la […] ‘città di pietra’) […];

–         la città come il luogo di massima concentrazione di funzione e di relazioni, in cui i livelli di intensità e di velocità degli ‘scambi’ raggiungono valori sempre più elevati (la ‘città delle relazioni e dei flussi’);

–         la città come spazio semantico privilegiato del rapporto psico-percettivo tra l’uomo e il suo habitat (la ‘città del vissuto’)[3].

Questa città deve essere tutta l’area vasta. Basti pensare, nel caso di Cagliari, alla spinta a localizzare fuori dei confini del comune, funzioni urbane pregiate, che si stanno sempre più ‘spalmando’ sul territorio circostante.

L’identità diviene un operatore attivo di connessioni tra soggetti per l’inserimento della città nel grande gioco delle reti globali.

Ulf Hannerz scrive: “un rapido schizzo delle differenze di stili urbani tra Rio de Janeiro e San Paolo. L’élite dirigente di tipo patrimoniale di Rio […] occupa posizioni […] la cui sensualità esprime ad un tempo la disponibilità a nuove alleanze e l’esclusività del proprio status. Ma tutti gli strati sociali della comunità carioca sono impregnati dell’atmosfera vacanziera del carnevale e delle spiagge. I componenti dell’élite impongono il loro ritmo a tutta la città […]. Al contrario, San Paolo è un punto di unione di élite commerciali e industriali, le cui attività sono favorite dalla privacy piuttosto che dal mettersi in mostra. L’ethos di Rio è quello di una città di corte, quello di San Paolo di una città mineraria[4].

E l’ethos di Cagliari? È l’ethos di una città che rifiuta chi produce e che, anzi, invita chi produce a investire nella rendita. Piano piano ci si abitua. Se hai un’impresa che crea ricchezza, sei tentato di investire nel mattone, di capitalizzare sotto forma di rendita i risparmi di un’azienda, piuttosto che sentirti incentivato a reinvestire.

La borghesia cagliaritana cerca il profitto facile. Le 3 M, si dice spesso: mattone, medici e massoni. Aggiungiamo la quarta M (Mani, l’arcivescovo a capo della diocesi Cagliaritana) ed il quadro è completo.

Vogliamo un’altra identità. Governare, indirizzare l’area vasta, serve a capovolgere, a sovvertire questo ordine. Ad instaurarne uno nuovo. E’ un processo che investe tutta la nostra vita.

Apparato produttivo, culturale, umano, relazioni sociali, sistema dei trasporti, utilizzo del territorio, ambiente. Vari livelli si incontrano e, se non governati in un’ottica alta, rimangono appannaggio del mercato, che compie fallimenti su fallimenti.

Altrimenti imperano altri valori. Valori globali, rischiosi. Berlusconiani. Come scrive Perulli, “Nell’epoca globale, la cité designa un insieme di caseggiati di banlieu, con il suo territorio e i suoi riferimenti, lontano dal ‘centrocittà’ e dalla città stessa, un pezzo di città distanziato dalla città, staccato come un iceberg alla deriva, che galleggia su un oceano incerto”.

L’obiettivo è una qualità della vita elevata. Con pochissimo la città bianca, e ciò che le sta attorno, potrebbe diventare un sogno. Un luogo in cui si lavora e si gode del mare, in cui ci si muove quasi esclusivamente coi mezzi pubblici, in cui l’inquinamento viene costantemente ridotto, un luogo in cui si può studiare senza pensare di dissipare i risparmi di una vita.

Un’area vasta dove ci siano spazi vuoti, che possano essere goduti. Esattamente il contrario di quello che vogliono fare, nel centro storico di Cagliari, coi vuoti urbani.

Gli spazi vuoti sono anche elogio dell’ombra, delle forme sensitive diverse da quella visiva: quella auditiva, olfattiva, tattile che la nostra civiltà occidentale ha atrofizzato. Ombre come esperienza di sospensione, di pausa – quelle che la modernità occidentale vorrebbe abolire”.

Cominciamo, mettiamo insieme, confrontiamoci, e agiamo! A proposito del dibattito su province, assetti istituzionali etc., non possiamo non notare che “nel complesso gioco intercomunale che dovrebbe governare la città mobile, o quantomeno coordinare le scelte pubbliche di reciproco interesse, si inseriscono per proprio conto i governi di scala superiore (province o dipartimenti, regioni). Ciascuno di essi interpreta in base ai propri ruoli istituzionali le medesime questioni che assillano i comuni o i club di comuni: il rischio di paralisi aumenta, i costi di coordinamento si moltiplicano. Nel frattempo la città continua a ‘muoversi’, per proprio conto”.

Noi abbiamo bisogno esattamente del contrario. Solamente una forte azione di leadership del Comune di Cagliari può innescare questo processo. Mandati a casa coloro che a Cagliari governano, si devono individuare subito i luoghi istituzionali dai quali dirigere l’area vasta.


[1] Cfr. Paolo Perulli, Visioni di città: le forme del mondo spaziale, Einaudi, Torino 2009

[2] Gian Giacomo Ortu, “Città chiusa e campagna aperta: nota sulla Sardegna moderna e contemporanea”, in Meridiana, n. 5 (1989), pp. 77-91

[3] Silvano Tagliagambe, “Reti di città e processi di modernizzazione”, in G. Mura, A. Sanna, Paesi e Città della Sardegna, CUEC, Cagliari, 1999, pp. 103-113

[4] Ulf Hannerz, Esplorare la città: antropologia della vita urbana, Il Mulino, Bologna 2003.

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2 Comments

  1. Anzeledda says:

    Ormai la gente che lavora a Cagliari sta andando fino a Ussana, in parte per una cultura della “villetta” che crea disagi di ogni tipo, dal traffico all’abbandono dei centri storici, in parte per i prezzi della città.
    Andare più in là sarebbe insostenibile, secondo me, anzi siamo andati troppo oltre.
    Uno dei compiti delle amministrazioni dei prossimi anni, dovrà essere quello di ricompattare la città, sia richiamando la gente al suo interno, sia accorciando le distanze, fisiche (mobilità pubblica, parcheggi di scambio ecc ormai le soluzioni sono tante che si deve solo scegliere la più conveniente) e di servizi virtuali tra la periferia e il centro.

    • admin says:

      Il rischio è quello di un’area urbanizzata che lungo la ss. 131 arriva sino a S. Sperate e lungo la ss. 130 sino ad Assemini. Hai completamente ragione sui compiti dell’amministrazione nei prossimi anni.

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