
L’Unione Sarda del 17 gennaio 2013 discute una mia proposta sulla requisizione delle case sfitte. Vi propongo lo scritto da cui scaturisce l’articolo di Mario Gottardi.
Requisire le case sfitte
La provincia di Cagliari, qualche mese fa, ha dichiarato lo stato di crisi. Fanno più notizia le fabbriche del Sulcis. Ma anche nel cagliaritano comandano povertà e disoccupazione. Al massimo, cassa integrazione.
Nella città di Cagliari, in poco più di un anno, sono aumentati del 10% gli iscritti ai CSL (Centri Servizi per il lavoro), i vecchi uffici di collocamento. Sono tante le giovani donne i giovani uomini che neanche si iscrivono. Non cercano più lavoro.
Cagliari continua a perdere abitanti. Secondo l’ultimo censimento, siamo circa 150.000. Al censimento del 2001, i cagliaritano erano 205.000.
A Cagliari, e per la verità in tutta l’area e in tutta la Sardegna, non diminuisce l’emergenza abitativa. Poco meno di 1.000 famiglie sono in graduatoria per avere una casa. Mentre aumenta il costruito, diminuisce la popolazione e aumentano coloro che non riescono a trovare casa.
Sono sempre più le case sfitte. Nella sola capitale, si stima in 5.000 il numero degli appartamenti sfitti.
Non può andare avanti così. A Roma, Milano, Parma e in altre città gli studenti, che non possono più permettersi di pagare canoni d’affitto stratosferici, hanno occupato per trovare dove vivere e studiare. Vecchi stabili disabitati sono stati rimessi a posto e trasformati in studentati.
Per il resto della popolazione vi sono le requisizioni. La requisizione è un provvedimento con il quale la pubblica amministrazione sottrae al privato, in via temporanea o definitiva, il godimento di un bene, in questo caso immobile, a motivo del superiore interesse pubblico.
L’alta tensione abitativa si può fronteggiare. Vengano requisite le unità immobiliari sfitte da oltre dodici mesi. Si escluda l’alloggio di residenza del proprietario ed un secondo alloggio. Insomma, si requisisca dal terzo alloggio di proprietà sfitto in poi.
Le unità immobiliari requisite per un periodo di diciotto mesi, rinnovabili una sola volta di ulteriori diciotto mesi, devono essere assegnate agli aventi diritto. Questi devono corrispondere un canone di locazione, il quale sarà corrisposto, mediante l’intermediazione pubblica, al privato. Il privato avrà anche la certezza che, alla scadenza del termine, l’immobile sarà restituito nelle identiche condizioni strutturali e igienico-sanitarie verificate al momento della requisizione. Un immobile già oggetto di requisizione, infine, non può essere sottoposto a nuova requisizione prima che sia decorso un certo lasso di tempo (dieci anni, per esempio).
La requisizione di immobili ad uso abitativo è prevista sin dal 1865. Diverse esperienze e sentenze ne hanno dimostrato l’utilità e la legittimità. Sandro Medici, attuale candidato sindaco a Roma, se ne è occupato. Diversi consiglieri regionali hanno presentato proposte di legge.
La requisizione può essere disposta dal Sindaco. Nel caso sardo, si potrebbe legiferare in Consiglio regionale.
Affrontare l’emergenza abitativa significa intervenire sulla rendita. In altri termini, significa intervenire su coloro che hanno tanti soldi, ma non li rendono produttivi.
Affrontare l’emergenza abitativa significa dare attuazione alla Costituzione. Affrontare l’emergenza abitativa significa dare soddisfazione ad un diritto umano fondamentale. La politica, spesso incartata in polemiche inutili e incomprensibili, affronti il tema.
Enrico Lobina

Che proposta stupida.
Proposta indecente, priva di alcun fondamento logico e di natura stupidamente populista. Si distruggerebbe il mercato immobiliare, il mercato dei mutui e si danneggerebbe indirettamente il sistema del credito e tutta l’economia gia assopita di una regione come quella della Sardegna. Perche’ la gente non lavora anzi che politicheggiare e farfugliare ste robe ?
Matteo, io lavoro da quando sono all’università. E faccio il consigliere comunale perchè sono stato votato. Ho il dovere politico, e per quanto mi riguarda anche morale, di trovare una soluzione alla emergenza abitativa che vive la città di Cagliari.
Con una seria politica per la casa non si distruggerebbe il mercato immobiliare, che invece proprio ora è al palo. Mi pare che confondi le cause con gli effetti.
Con questa, e con altre proposte, vogliamo evitare che ci siano decine di migliaia di case sfitte a Cagliari. Mi pare sia un provvedimento di una grande semplicità.
Io lavoro e faccio proposte. Tu?
E’ una proposta legittima e fondata.
Bisognerebbe approfondirla un pò e trovare il modo di contemperare gli interessi costituzionalmente garantiti nel caso di specie: la proprietà da un lato e dall’altro quello di solidarietà.
Coloro che commentano questa proposta dovrebbero essere un pò più costruttivi.
Buon lavoro Enrico!
Grazie. Concordo.
E
In teoria chi non si può permettere una casa in città può pensare di andare a vivere in un’altro centro… Lo fanno tante persone che non si possono permettere una casa a cagliari.. se cominciamo ad espropriare gli immobili privati che esempio diamo alla gente? che chi non ha una casa e dichiara poco può vivere sulle spalle della società? Che incentivo può avere una persona a cercarsi un buon lavoro quando la certezza di vivere a Cagliari ce l’avrebbe solo da povero o evasore? Quanti si offrirebbero a lavorare in nero per avere un reddito nullo??
Caro Marco,
stiamo parlando della terza casa sfitta. Che esempio diamo se lasciamo tutte quelle case sfitte a marcire?
Chi non ha una casa deve essere messo nelle condizioni di lavorare. Ti assicuro che ci occupiamo anche di questo.
E.
Una proposta tipica bolscevica.. Tipica demagogia pauperista di chi vuol far presa facilmente sui poveracci.. Se la gente vuole avere una casa, si metta a lavorare e se la compri o si paghi l’affitto. Oppure lo Stato gliele costruisca secondo il modello di edilizia popolare.
Creare invece un’ennesima sacca di parassitismo a carico di chi ha lavorato per anni e si è creato una propria nicchia di benessere e che si troverebbe espropriato dei propri averi, a favore dei soliti nullafacenti di sinistra, credo sia un’idea ben oltre il limite della decenza.
Stefano,
la proposta è talmente bolscevica che risale al 1865, e fu attuata da un grande uomo di Chiesa come Giorgio La Pira.
Le altre osservazioni non meritano risposta.
E