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Dall’integrazione all’interazione. Oltre le “Barriere invisibili” – di Ivo Murgia

June 27th, 2015  |  Published in In evidenza, Politica, Sardegna, Varie

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Ivo è un vero intellettuale, cagliaritano e sardo. Un intellettuale dai piedi scalzi, direi, perchè gli attori culturali dove stanno i soldi gli intellettuali scomodi li emarginano. Vi propongo una sua recensione.

Enrico

 

Dall’integrazione all’interazione. Oltre le “Barriere invisibili”
Ivo Murgia

“Barriere invisibili”, Aipsa edizioni, è il titolo del nuovo libro di Kilap Gueye, mediatore culturale originario di Thies (Senegal), dove ha conseguito la laurea in Psicologia, residente a Cagliari da circa quindici anni, e sardo d’adozione e per scelta.
Già autore de “La Panchina”, sempre con la Aipsa, dove ripercorre le vicende personali che lo hanno portato in Europa e in Sardegna in particolare, con questo nuovo lavoro amplia il discorso e allarga il ragionamento alla questione della migrazione africana nel cosiddetto vecchio continente; primo mito dell’eurocentrismo, dato che l’Europa non è per niente più vecchio degli altri continenti. Non solo, i temi proposti, a volte soltanto abbozzati sono tantissimi, le differenze culturali prima di tutto, le ragioni delle migrazioni, da una parte e dall’altra, il colonialismo militare e il neocolonialismo economico, la comunità e l’individuo, la società, i rapporti umani, l’amore, l’emotività e la razionalità. Un’opera più matura che come detto, offre svariate possibilità interpretative.
Per veicolare il proprio punto di vista, Kilap sceglie un espediente narrativo piuttosto consueto, affida i suoi pensieri ai protagonisti della storia. Tra questi vi è M’baye, un africano che ha vissuto tanti anni in Europa ma che torna al suo paese con uno scopo, quello di convincere i giovani senegalesi a non partire più. Impresa non facile, dato che moltissimi giovani africani hanno il mito dell’Europa, vista, in seguito alla colonizzazione, come il luogo del benessere, della ricchezza e del potere, il luogo al quale aspirare per la propria crescita personale. Non c’è da stupirsi che le spiagge africane siano zeppe di giovani che sognano la prosperità europea come punto di approdo della loro vita. Anche se la colonizzazione militare è ufficialmente terminata, la neocolonizzazione economica continua senza sosta, e i modelli capitalistici occidentali sono ormai approdati in grande stile nel continente africano, ma meglio sarebbe dire a gamba tesa, a tutto discapito delle popolazioni locali, ancora una volta. Un mito difficile da sconfiggere quindi, alimentato a volte dagli stessi africani, vittime di un eurocentrismo difficile da sradicare, dai media, e anche da tutti coloro che una volta rientrati a casa, sfoggiano abiti firmati e tasche piene di soldi, continuando più o meno consapevolmente ad alimentare la macchina, o bisognerebbe forse dire la barca, dei viaggi della speranza.
M’baye ci prova, descrive la durezza delle condizioni dei giovani africani in Europa, il lavoro, le case fatiscenti ma soprattutto le grandi differenze culturali, e non sono poche, innanzitutto i rapporti umani. Racconta M’baye che nella sua terra i saluti sono fondamentali, lunghissimi rituali che possono durare anche parecchi minuti, del senso di comunità degli africani, di come l’uomo si concepisca come parte della sua gente, nella socialità dell’altro, di porte sempre aperte, di famiglie allargate, di nugoli di bambini che giocano nelle strade cresciuti dall’intera comunità, di anziani accolti e ascoltati, di donne rispettate, di ospitalità e sorrisi per gli stranieri. Dall’altra parte cosa aspetta invece ai nuovi arrivati senegalesi? Isolamento, solitudine, mal sopportazione, essere ignorati o peggio invitati a tornarsene a casa. Niente saluti, a mala pena ci si saluta tra vicini, niente accoglienza, niente ospitalità. Anche tra di loro gli europei vivono isolati, ognuno nella sua casa, davanti al proprio computer, e in caso di difficoltà ognuno può contare solo su stesso o al limite, quando va bene, sui parenti più stretti. Differenze culturali dolorose per un popolo abituato a vivere nella socialità. Una società egoista e avida, che bada solo alla razionalità e trascura l’emotività, che ha abbondonato la spiritualità riducendola a un sentimento naif, dimenticando che si tratta di un bisogno fondamentale dell’uomo. Dedita solamente all’accumulazione di beni materiali, che mai hanno dato la felicità, e che trascura la cosa più importante nella vita di un uomo, lo scambio emotivo con i suoi simili. Basterebbe fare un semplice sondaggio e chiedere quante persone, pur vivendo nel benessere, si sentono veramente felici, si otterrebbero probabilmente risultanti sorprendenti.
L’autore però non fa l’errore di addossare tutte le colpe agli europei, presenta anche i lati critici della società africana, dove, per esempio, a volte i genitori dettano legge sui destini amorosi dei figli, i quali non possono svincolarsi e sono costretti a vite segnate dalla delusione. E neanche sugli africani che vivono in Europa, cosa facciamo noi africani, si chiede, per dialogare con gli europei. Questa è in effetti una domanda che dovremmo porci tutti, da una parte e dall’altra, cosa facciamo per venirci incontro? La strada è tracciata, il destino del mondo è quello di mischiarsi sempre di più, cercando di mantenere le differenze quando sono ricchezza culturale ma perseguendo senza sosta un’uguaglianza di diritti per tutti. Come ci stiamo preparando a questo traguardo? Pensiamo a noi stessi, quanti di noi hanno amici africani o stranieri? Forse parecchi, ma quanti hanno una vita sociale in comune con loro? Vanno al cinema, al mare, al ristorante, come fanno con gli altri amici? Non tantissimi immagino. Le nostre relazioni sono ancora di tipo utilitaristico, improntate alla compravendita, ci manca ancora quel passettino in avanti che le trasformi da relazioni economiche a normali relazioni amicali. Dall’integrazione di queste nuove comunità, all’interazione con loro, nella vita sociale quotidiana. E’ uno sforzo che si chiede ad entrambe le parti, difficile magari ma necessario.
Non si trascura nel libro neanche di parlare della Sardegna, alla dichiarazione di amore per questa terra, si possono tranquillamente accompagnare delle note critiche che ne conseguono. Innanzitutto l’assoluta mancanza di coscienza e conoscenza dei sardi non solo della loro storia ma perfino della loro geografia! Cosa non strana dato che le dinamiche della colonizzazione sono identiche in Africa come in Sardegna, e basterebbe rileggersi Frantz Fanon per aprire gli occhi su certi fenomeni che succedono anche dalle nostre parti. La Sardegna è un’isola al centro del Mediterraneo, praticamente equidistante da Africa e Europa, per i sardi però pare esista solo l’Italia al mondo, non si rendono minimamente conto che la natura e la storia hanno dato loro una posizione invidiabile al centro del Mare Nostrum, un ponte fluido, dice l’autore, con un mare che unisce i popoli e non divide. Un’occasione culturale, e anche economica, straordinaria, miseramente lasciata cadere per dissolversi nella poverissima vita da provincia italiana, periferici e paradossalmente isolati, noi che eravamo i “Popoli del mare”, recita una famosa canzone di Dr Drer. Sempre noi, quelli che fino a ieri emigravano in giro per il mondo a cercare fortuna, noi con un’altra Sardegna sparsa nei cinque continenti, noi ci ritroviamo ad assumere posizioni di chiusura verso altri esseri umani che a loro volta cercano fortuna, scappando dagli inferni creati per loro dalla colonizzazione dell’Europa, che poi se n’è lavata bellamente le mani. Fa specie sentire dei sardi, che sempre si sono vantati della loro ospitalità, assumere posizioni perfino razzistiche, noi emigranti, noi a un passo dall’Africa, noi più africani che europei, ridotti a scimmiottare le peggiori posizioni xenofobe occidentali. Troppo breve la memoria della nostra storia, troppo povera la conoscenza di noi stessi!
Saranno gli africani a riscattare l’Africa, si dice nel libro, investendo in Africa le loro energie, viaggiando se lo vorranno ma senza miti indotti dalla vecchia e nuova colonizzazione, e anche quelli che decideranno di restare in giro per il mondo, saranno chiamati a un compito importante, insieme agli europei, agli occidentali, e a tutti gli altri uomini di questo pianeta. Dovremo tutti avviarci in un cammino di comprensione, apertura, integrazione e finalmente interazione, perché, come detto, restino le differenze culturali che costituiscono la ricchezza del mondo, ma si giunga finalmente a un’uguaglianza dei diritti senza altre inutili distinzioni.

 

 

 

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