
Sardegna Quotidiano ha pubblicato oggi, 9 maggio 2012, un mio contributo. Il titolo originario era “Cultura bene cmune, e ciò che non dice il ‘Sole24 Ore’.”
Ve lo propongo
Cultura bene comune, e ciò che non dice il “Sole24 Ore”
Il 14 giugno 2011 è stato occupato il Teatro Valle a Roma. Un giorno dopo la vittoria dei referendum sui beni comuni. Il Valle è stato occupato da un gruppo di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo per impedire che, dopo lo scioglimento dell’Eti (Ente teatrale italiano), la proprietà di uno storico teatro pubblico passasse ai privati. Forse sarebbe diventato un centro commerciale. Invece i lavoratori dello spettacolo l’hanno occupato e hanno dimostrato, autogestendosi e autorganizzandosi, che si può fare cultura senza sottostare né a chi vuole far morire la cultura né a chi vorrebbe farne un uso distorto.
Hanno praticato l’idea di cultura bene comune. Alcune loro scelte, per esempio quella di trasformarsi in fondazione “Teatro Valle Bene Comune”, possono essere criticabili (perché una fondazione?). Il concetto che si afferma è però chiaro: esiste uno “spazio pubblico della cultura”.
Il 19 febbraio 2012 il “Sole24 Ore” ha pubblicato un “Manifesto per la cultura”, che prevede la promozione di una “Costituente per la cultura”. L’obiettivo del manifesto è ambizioso e condivisibile: “occorre una vera rivoluzione copernicana nel rapporto tra sviluppo e cultura. Da ‘giacimenti di un passato glorioso’, ora considerati ingombranti beni improduttivi da mantenere, i beni culturali e l’intera sfera della conoscenza devono tornare a essere determinanti per il consolidamento di una sfera pubblica democratica, per la crescita reale e per la rinascita dell’occupazione”.
“Consolidamento di una sfera pubblica democratica”, da parte di un giornale che ha difeso la riforma Gelmini, che ha ucciso definitivamente l’Università e la scuola pubblica, è un bel passo in avanti. Sarà vero?
Il 3 marzo “Il Sole24 ore” svela le reali intenzioni. Si scrive: “l’Italia, e in grande misura l’intera Europa, deve oggi fronteggiare una sfida non semplice: quella di ritrovare la via della crescita. Ed è una opinione ancora minoritaria ma sempre più diffusa che la cultura debba far parte in modo importante del nuovo scenario”. Ecco svelate le intenzioni: gli altri settori non tirano più. Puntiamo, quindi, sulla cultura. Favorendo, così come prevede il manifesto, la “complementarietà pubblico-privato”. Naturalmente, nei settori nei quali il privato ha interesse a intervenire. Cioè in quelli in cui fa profitto. Finora, quando si è parlato di “complementarietà pubblico-privato”, è sempre stato così. Perché non dovrebbe esserlo nel settore della cultura?
La Sardegna, e Cagliari, è assai lontana da queste dinamiche che, se riproposte pedissequamente, possono entrambe fallire. Si tratta, invece, di individuare percorsi autonomi e originali, che guardino al meglio di ogni esperienza internazionale, e che tengano conto della realtà locale.
Bisogna conoscere cosa esiste e fa cultura. Bisogna progettare interventi diversi per soggetti diversi: associazioni no profit e chi invece il profit lo fa, professionisti e non professionisti. Bisogna compiere delle scelte: se valutare più le potenzialità economiche (bilanci etc.) oppure le capacità gestionali, collegate alla cultura e alle ricadute sociali delle attività.
Coi referendum del 12 e 13 giugno gli italiani, e i sardi, hanno deciso che alcuni settori non devono sottostare alla dinamiche del mercato. Che sia il caso della cultura?

ed infatti se inizi con l’idea che devi fare bandi, poi dai consulenze farlocche, lanci un progetto che dice tutto e non dice niente poi prosegui gli sfratti e non decidi sul Lirico sei proprio a metà dell’opera come amministrazione. e mi dici dove vuoi andare nella società di 2.0