logo image

Sul prossimo congresso della CGIL

January 2nd, 2011  |  Published in Politica, Varie

Download PDF

I lavoratori sono sempre più poveri. Circa 20 anni fa è stata abolita la scala mobile, cioè un meccanismo attraverso il quale i salari venivano adeguati seguendo l’aumento del costo della vita. Da allora chi è un lavoratore dipendente non fa altro che perdere potere d’acquisto. Tradotto: diventa povero. Oggi i lavoratori a tempo indeterminato che oscillano tra i 1.000 e i 1.500 euro al mese a stento arrivano a fine mese.

E i precari? Ancora peggio.

La crisi degli ultimi 15 mesi, poi, ha portato solamente licenziamenti, rinnovi dei contratti ridicoli e aumento della paura nel posto di lavoro. Le ore di sciopero sono drasticamente diminuite.

Al peggiorare delle condizioni di vita di lavoratori e pensionati fa da contraltare il dominio culturale della destra fascista. Anche nei luoghi di lavoro. Lavoratori autonomi contro lavoratori subordinati. Dipendenti privati contro dipendenti pubblici. Lavoratori a tempo indeterminato contro precari. Precari contro disoccupati. Lavoratori dalla pelle chiara contro lavoratori con la pelle scura. E così all’infinito.

In questo contesto si inserisce il congresso della CGIL. Una organizzazione che, in questi 20 anni, non ha saputo contrastare questo processo. Anzi, in molti casi ne è stata complice. Nel luglio 1993 venne firmato un accordo che ammazzava definitivamente la scala mobile. Bruno Trentin, allora segretario generale, lo firmò. Lo stesso atteggiamento di acquiescenza caratterizzò la CGIL nei confronti del pacchetto Treu nel 1997. Per arrivare sino al protocollo sul lavoro del luglio 2007, firmato da tutti i sindacati.

A onor del vero, alcuni dentro la CGIL (metalmeccanici e Rete 28 aprile) si sono opposti a questa deriva compatibilista.

Oggi la più grande organizzazione democratica e popolare italiana si trova di fronte ad un bivio. Forte di questi 20 anni, il governo Berlusconi vuole distruggere il sindacato e la contrattazione collettiva. Si vuole far accettare alla CGIL l’inaccettabile. Guglielmo Epifani è stato costretto ad opporsi. Conseguentemente, oggi la CGIL è la più grande organizzazione sociale che si oppone al nuovo fascismo.

L’aumento degli iscritti di questi anni, però, non deve far dimenticare il rischio concreto della subalternità culturale e dell’isolamento sindacale e politico. Che, in parte, esiste già. Oggi in tanti luoghi di lavoro la CGIL non c’è, non esiste, non si sente.

Questo è il tema del prossimo congresso CGIL. Si confrontano due opzioni.

Una, quella di Epifani, non rinnega le esperienze concertative del passato (per esempio la firma del protocollo del 2007). Ci si pone, quindi, in continuità con la pratica degli ultimi decenni.

L’altra, primo firmatario Domenico Moccia, ruota intorno ad un concetto chiave: discontinuità. “Discontinuità nella consapevolezza, non sufficientemente acquisita, della necessità di ridefinire il ruolo del sindacato confederale alla luce dei profondi cambiamenti intervenuti sul piano politico, economico e sociale a livello nazionale e globale”.

In Sardegna la situazione pare ancora più arretrata che in Italia. I gruppi dirigenti sardi, cristallizzati e incapaci di attrarre e formare una nuova generazione di lavoratori, non hanno compiuto alcuna autocritica. Anzi.

La cosiddetta “Assemblea del Popolo Sardo” si è rivelata un fallimento. È il risultato di un processo che mette insieme organizzazioni discutibili e proposte nate vecchie. L’intento di coinvolgere la società sarda, a partire dal mondo del lavoro, semplicemente non ha avuto luogo. Lo stesso andamento dell’assemblea regionale cagliaritana del 30 novembre lo dimostra. Hanno parlato tutti tranne i lavoratori.

Dal punto di vista programmatico, la nuova questione sarda non viene in alcun modo affrontata, se non invocando un nuovo statuto. Diverso da quello del 1948 ma sostanzialmente subalterno alle logiche del Titolo V della Costituzione e degli attuali rapporti di tipo neocoloniale che intercorrono tra la Sardegna e le centrali economiche europee e non. Non una volta, inoltre, viene citato il cambiamento climatico o la questione delle basi di morte di cui la Sardegna è costellata.

Alla crisi produttiva isolana, insomma, non si risponde con un disegno di trasformazione complessivo, bensì con la riproposizione dei soliti gruppi dirigenti. Che dicono sempre le stesse cose. Che ci sia bisogno di discontinuità anche in Sardegna?

dicembre 2009

Download PDF Tags: ,

Comments are closed.

Twitter

  • The RSS feed for this twitter account is not loadable for the moment.

Follow @EnricoLobina on twitter.

May 2024
Monday Tuesday Wednesday Thursday Friday Saturday Sunday
29 April 2024 30 April 2024 1 May 2024 2 May 2024 3 May 2024 4 May 2024 5 May 2024
6 May 2024 7 May 2024 8 May 2024 9 May 2024 10 May 2024 11 May 2024 12 May 2024
13 May 2024 14 May 2024 15 May 2024 16 May 2024 17 May 2024 18 May 2024 19 May 2024
20 May 2024 21 May 2024 22 May 2024 23 May 2024 24 May 2024 25 May 2024 26 May 2024
27 May 2024 28 May 2024 29 May 2024 30 May 2024 31 May 2024 1 June 2024 2 June 2024

Cerca articolo

Archives


Twitter

  • The RSS feed for this twitter account is not loadable for the moment.

Follow @EnricoLobina on twitter.

You Tube

Whoops! There was an error retrieving the YouTube videos