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Sardegna: su autonomia, autogoverno, indipendenza

March 15th, 2011  |  Published in Sardegna

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Autonomia è una parola chiave per descrivere la vita politica sarda dal secondo dopo guerra ad oggi. È stata la relazione privilegiata utilizzata per regolare i rapporti tra Roma e Cagliari. Senza entrare nel merito di una ricostruzione storica di ciò che sono state le relazioni tra Sardegna e Italia nel periodo repubblicano, vorremmo ragionare sul senso dell’autonomia oggi.

Tutti, nel quadro politico isolano, sono autonomisti.
L’autonomia nacque in una fase storica in cui lo stato nazionale definiva la politica estera ed economica del territorio su cui esercitava la sovranità in maniera netta e irrevocabile. Oggi l’autonomia è una scatola vuota che la classe politica, salve poche eccezioni, non ha riempito. Perché i politici sardi non sono mai andati a lezione dai loro colleghi catalani, baschi, scozzesi per imparare a riempire la scatola dell’Autonomia? Per loro studiare è roba da bravi ragazzi. Ora i bravi ragazzi, che hanno studiato e lavorato duro, presentano il conto.
Prima o poi succede in ogni nazione. Soprattutto in quelle in via di sviluppo con un passato coloniale.
Ma gli stessi bravi ragazzi, se hanno tolto la delega in bianco agli autonomisti, certo non la danno agli indipendentisti. È una scatola vuota anche l’indipendenza. Soprattutto nell’attuale contesto internazionale.

La partecipazione all’Unione Europea si è definita come delega delle decisioni di politica economica e sociale ad un ente a-democratico (intendiamo democrazia in senso schumpeteriano, non in senso sostanziale) governato dalle lobby.

La libera circolazione dei capitali, che possono entrare ed uscire da un Paese senza che venga loro posto alcun controllo, rappresenta il resto del processo economico che definiamo globalizzazione neoliberista.

La guerra, mascherata da governance internazionale, per cui anche l’Italia partecipa con proprie truppe al conflitto afghano e in altri scenari di guerra, è un altro fondamentale aspetto della fase politica internazionale.

La globalizzazione neoliberista lascia allo Stato un unico compito: il controllo del territorio e la repressione del dissenso. Nonostante la crisi economica internazionale, lo Stato sociale non deve più esistere. I diritti sui luoghi di lavoro, il principio uguale lavoro-uguale salario e il diritto alla pensione sono vecchi privilegi del Novecento. La globalizzazione neoliberista non li accetta. Li ha, nei fatti, annullati.

Che senso ha, all’interno di questo contesto, parlare di autonomia? Non sarebbe meglio discutere, per farla diventare parola d’ordine popolare e di massa, di autogoverno?

E l’indipendenza?
Negli ultimi decenni la questione nazionale è stata protagonista della politica mondiale. Grandi stati multinazionali sono stati smembrati. Proliferano le “piccole patrie”.
L’esplodere della questione nazionale ha fatto avanzare o arretrare le condizioni materiali di vita dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani?

La nascita del Kosovo, dell’Estonia, della Lituania, dell’Estonia, della Lettonia, della Moldavia, della Macedonia e degli altri paesi balcanici, per rimanere in Europa, sono stati passaggi positivi per lavoratori e classi popolari?

Questi paesi sono realmente indipendenti? Cosa intendiamo per indipendenza? Indipendenza è una carta che sancisce l’esistenza dello stato, con dei confini e un esercito che formalmente difende il territorio dagli invasori. E basta?
Allora perché si concorda sul fatto che l’Italia repubblicana sia un Paese a sovranità limitata?

L’indipendentismo confonde gli aspetti formali con gli aspetti sostanziali di una forma storico-sociale. Indipendenza non è sinonimo di autogoverno e di sovranità. È illuminante che iRS (indipendentzia Repubrica de Sardigna) non metta in discussione l’Unione Europea.

I sardi hanno una propria lingua, una propria storia e un proprio territorio. Queste verità sono largamente accettate. Se vogliamo ottenere un generale benessere e avanzamento sociale e culturale, il problema è come si debbano regolare i rapporti con gli altri popoli. Noi crediamo che le parole indipendentiste appartengano a un vecchio modo di concepire la politica e le relazioni sociali.

Oggi l’autogoverno, dal basso e popolare, è il mezzo attraverso il quale chiamiamo alla partecipazione. Ognuno diventi, in fraterna connessione con chi gli sta vicino, artefice del proprio destino.
Un esempio: le basi militari. Si promuova, tra i comuni attorno al poligono interforze di Quirra, una grande consultazione popolare, preceduta da una capillare attività di informazione. Se la consultazione popolare sancisce che quella base non ci deve essere più, o Roma e Cagliari ne prendono atto, o si lanci una grande campagna di disobbedienza civile. Si occupi la base, si impediscano le esercitazioni, si costringano i mercanti di morte ad andarsene.

L’autogoverno è un processo, unitario e dal basso, mediante il quale ognuno prende coscienza di sé e del contesto in cui vive.

Pubblicato su Liberazione, 24 aprile 2009, p. 18

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