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Il sottosuolo cagliaritano

April 11th, 2011  |  Published in Cagliari, Politica

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Enrico Lobina, Marco Mura

Il sottosuolo cagliaritano è parte integrante della storia della città. Ne sono prova le innumerevoli cavità, naturali o artificiali, presenti in tutto il territorio, che nel corso dei secoli hanno mutato la loro funzione originaria a seconda delle necessità. Da miniere a rifugi antiaerei, da luoghi di culto a pub, da cisterne per la raccolta d’acqua piovana a volano per locali commerciali.

I cagliaritani hanno un rapporto stretto non solo con la parte “aerea” della città, ma anche con quella sotterranea. Nonostante questo, le conoscenze riguardo l’estensione e la quantità di questi vuoti è lasciata ai casi di emergenza, ovvero quando è già troppo tardi; oppure alla buona volontà di gruppi speleologici che con impegno e precisione scientifica censiscono e monitorano cavità e grotte.

Se l’interesse nei confronti dei vuoti del nostro sottosuolo fosse scientifico, escursionistico o  turistico, la sua valorizzazione sarebbe valida per le ricadute economiche che potrebbe avere.

La prospettiva però cambia se si pensa al rischio reale per persone, per edifici e monumenti nel caso in cui le coperture di queste cavità all’improvviso cedessero generando le cosiddette voragini.

Un fenomeno apparentemente slegato da quello delle voragini è rappresentato dalle frane che,  con connotazioni diverse, si verificano in diversi quartieri. A Villanova, per esempio, dove le frane hanno interessato interi tratti di strada. Smottamenti di piccola o notevole estensione si verificano da anni lungo la passeggiata del Terrapieno. In pieno quartiere della Marina, in via Principe Amedeo, dove il muro di cinta di un giardino franò, e una palazzina vicina si riempì di crepe che la resero inabitabile. O, ancora, nella passeggiata coperta, sotto il Bastione, che necessita periodicamente di costosi interventi di manutenzione a causa delle infiltrazioni d’acqua. Per non parlare del rischio frane che incombe sulle aree a ridosso delle falesie: dai Giardini pubblici a Bonaria al colle San Michele.

La formazione delle voragini, ma anche i fenomeni franosi, non accadono però per caso. Cagliari è una città nata su declivi di pietra calcarea dove il corso naturale del tempo ha creato fratture e grotte nelle quali scorrono fiumi sotterranei che l’attraversano a varie profondità. Inoltre, il calcare di Cagliari è facile da asportare per ricavarne pietra da costruzione.

L’abitato si è espanso nei secoli occupando le aree delle antiche cave o le spianate ricavate con l’accumulo dei terreni da riporto. Ciascuno di questi fattori potrebbe, per suo conto, provocare problemi nel tessuto urbano. Bisogna inoltre considerare le sollecitazioni del traffico e il peso di edifici sempre più grandi e numerosi.

Se, come accade tra via Is Mirrionis e la spianata di Tuvumannu, i fattori di rischio si sommano, frane e smottamenti diventano un rischio quotidiano. Qui le case sono state costruite sui resti di una collina dove punici e romani aprirono cave che, nei secoli successivi, divennero cisterne e abitazioni e poi nuovamente cave per fornire la materia prima a una fabbrica di cemento nata nella prima metà del novecento, in attività fino agli anni ‘70. Su questo terreno, dove avvallamenti e voragini sono stati colmati con pietre, terra e detriti, il piano di espansione edilizia aveva previsto due ettari di area fabbricabile, oggi diventati sede dell’università, villette con giardino, palazzine e condomini dove vivono alcune centinaia di persone. Il terreno di riporto sul quale poggiano la maggior parte di questi edifici non offre solide garanzie alle fondazioni. Lo dimostrano lo stabile abbattuto dopo il cedimento del terreno in Piazza d’Armi, le case piene di crepe in via Castelfidardo e zone limitrofe, le pareti esterne degli edifici piene di segnalatori che monitorano crepe e cedimenti e le strade da anni chiuse al traffico con transenne e reti.

I fenomeni avvenuti negli ultimi anni in città evidenziano un problema reale. Ma anche volendo nascondere il pericolo per l’incolumità delle persone, pensiamo alle migliaia di piccole disconnessioni e buche del manto stradale che distruggono mezzi privati e pubblici. Potrebbe sembrare eccessivo paragonare queste disconnessioni alle voragini ed ai fenomeni di instabilità, ed effettivamente questa è stata la linea finora seguita dalla amministrazione comunale riguardo il trattamento di questi eventi. Ma, come accade con ciclica puntualità ad ogni acquazzone particolarmente violento e a ogni perdita nelle condutture dell’acquedotto, l’acqua si fa strada sottoterra, erode il terreno e crea un vuoto che, ingrandendosi, finisce per cedere. Esattamente come avvenne nel 2008 in via Peschiera.

Gli interventi eseguiti dal comune di Cagliari sono di semplice riempimento dei vuoti con colate di calcestruzzo. Se questi interventi non sono supportati da seri studi geognostici e geotecnici non solo potrebbero essere insufficienti, ma in certi casi risulterebbero addirittura pericolosi, perché si aggiungerebbe un ulteriore carico in una situazione già instabile.

Risulta, quindi, necessario eseguire innanzitutto uno studio geologico-idrogeologico e di rischio ambientale su tutto il territorio comunale, per capire quali siano le aree più a rischio. Una volta realizzata questa zonazione, andrebbero studiate delle soluzioni mirate di tipo geotecnico-ingegneristiche, naturalistiche o semplicemente di pianificazione urbana al fine di ridurre le componenti del rischio.

Tutti i soggetti che possono contribuire al raggiungimento di questo obiettivo lo devono fare. In primis l’amministrazione comunale, che deve impegnarsi per mettere in piedi un tavolo di collaborazione con le parti interessate e deve quindi coordinare ma allo stesso tempo stimolare la partecipazione di tutti. Abbanoa deve, dal canto suo, migliorare ciò che gli compete,  come ha recentemente fatto in Piazza d’Armi migliorando la rete idrica cittadina ed eliminando le perdite. Infine, la collaborazione con l’università di Cagliari può non solo garantire validità scientifica agli studi ed agli interventi, ma anche rappresentare un esempio di collaborazione strategica tra le istituzioni pubbliche.

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