I Savoia, Francesco Casula ed i tiranni
E’ già alla terza edizione il libro di Francesco Casula “Carlo Felice ed i tiranni sabaudi”. Una casa editrice coraggiosa (Grafica del Parteolla) ed uno studioso che ha dedicato la sua esistenza alla divulgazione ed allo studio di temi che i media e le istituzioni, guarda un po’, tengono nascosti.
Il libro di Casula risponde ad una domanda semplice: dopo che i Savoia ricevettero contro voglia la Sardegna, nel 1720, e divennero addirittura re, come si comportarono verso quella importante parte del loro regno?
L’aspetto che rende il libro agile, di facile lettura, interessante ed in alcune parti avvincente, è che i Casula fa parlare gli storici ed i protagonisti di allora. E’ un libro che riporta paragrafi e parti di opere già scritte.
La risposta al quesito è semplice, lineare, durissima, drammatica e disastrosa: la Sardegna venne trattata come un territorio altro rispetto al Piemonte, abitato da uomini che avevano meno diritti rispetto agli altri, culturalmente e socialmente inferiori, i quali dovevano essere trattati in modo tale da mantenere questa inferiorità. Questo pensavano i tiranni sabaudi, e le loro modalità di governo, o meglio di spoliazione, sono la diretta conseguenza della visione ideologica appena tratteggiata.
Girolamo Sotgiu, probabilmente il più grande storico del periodo sabaudo in Sardegna, pur essendo un oppositore della “diversità” dei sardi rispetto agli italiani, non poté non constatare il carattere coloniale dei rapporti tra Piemonte e Sardegna. Di quei rapporti non sono colpevoli chi allora abitava il Piemonte, per carità, bensì i governanti, cioè i Savoia e, successivamente, gran parte della classe dirigente post-1861.
Nel 2011 si è persa l’occasione di riflettere criticamente sull’Italia e sul processo di “unificazione”, però si può sempre (ri)cominciare, anche in assenza di una ricorrenza.
Se un turista, un italiano o uno straniero, viene in Sardegna, scoprirà che la strada più importante, la SS131, è la “Carlo Felice”. Carlo Felice, detto anche “Carlo feroce” è stato uno dei peggiori, più sanguinari e pigri vice-re di Sardegna.
Un amico studioso ama ripetere che è come se gli israeliani, nel 2200 dedicassero la loro strada più importante ad un nazista, magari ad Hitler in persona. Certo, questo sarebbe potuto succedere se i nazisti avessero vinto. Ma, dato che non è giusto che la storia la facciano i vincitori, le persone dotate di senno o almeno di amor proprio, che abitano in Sardegna, perché non mettono mai in discussione la memoria che si reifica nei nomi delle strade e delle vie di Sardegna.
A Cagliari, nella piazza più frequentata, svetta la statua di Carlo Felice. Più di sei anni fa proposi, per molti provocatoriamente, di sostituirlo con Giovanni Maria Angioy, il quale “fu il capo […] del movimento anti-feudale sardo. Angioy fece proprie le rivendicazioni delle popolazioni della campagna vessate dai feudatari, e propugnò l’eliminazione delle arcaiche strutture di potere”[1]. Da tempo un movimento di opinione, che ha presentato anche una petizione, chiede che la statua venga spostata[2].
In questa fase storica, di disfacimento di un progetto politico (l’Italia), ragionare sulla sua storia secolare ed i suoi governanti, ragionare sul suo carattere plurinazionale (l’Italia è insieme la Francia uno dei paesi europei a non aver ratificato la Carta Europea delle Lingua Minoritarie), fa sicuramente bene a popoli che cercano una libertà che Roma non ha fornito, ma anche a Roma stessa.
Il libro di Francesco Casula, che rifiuta ogni razzismo anti-italiano, è un valido contributo per riscrivere veramente la storia, andando contro i tanti tradimenti dei presunti chierici.
[1] http://www.enricolobina.org/wp/2011/01/09/a-mare-carlo-felice-w-giovanni-maria-angioy/
[2] https://www.change.org/p/sindaco-spostiamo-la-statua-di-carlo-felice-istesiemus-s-ist%C3%A0tua-de-carlo-felice