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La Palestina, Francesca Albanese e le ragioni del Sindacato

Sinistra Sindacale ha pubblicato una mia breve riflessione sull’ultimo libro di Francesca Albanese. Vi ripropongo la versione originale dello stesso, che è un pò più lungo


Mentre questo articolo viene inviato a Sinistra Sindacale, sono passati 90 giorni dall’inizio del massacro a Gaza (con enormi crimini di guerra in corso in Cisgiordania), con più di 30.000 morti, almeno 12.00 bambini, 6.100 donne, 241 assassinati tra il personale medico, più di 100 giornalisti, ed almeno 59.000 feriti[1].

Considerando che Gaza aveva una popolazione di circa 2.2 milioni di abitanti, stiamo ragionando sulla eliminazione di più dell’1% dei suoi abitanti, e del ferimento di circa il 3%.

Non si contano i dispersi, ed i danni alle cose. L’intera Striscia di Gaza è stata rasa al suolo. Quei 2,2 milioni, quelli che rimarranno, vivranno per sempre nel terrore di ciò che stanno vivendo.

Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, nel suo libro “J’Accuse – gli attacchi del 3 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’Apartheid in Palestina e la guerra”, non pone al centro del suo agile libro-intervista, il termine genocidio, anche se viene discusso nella postfazione.

Nelle ultime settimane, tuttavia, su Twitter, viene evocato, alla luce dei fatti, dalla stessa autrice, il comportamento genocidario di Israele contro i palestinesi. Il Sudafrica ha chiesto alla Corte Penale Internazionale di verificare se Israele è responsabile di genocidio.

Al di là degli esiti del procedimento presso la Corte, rimangono i fatti.

Nella postfazione Roberta De Monticelli scrive: “Per la politica che non accetti questo genere di vincoli (del diritto internazionale NdR), la criminalizzazione dell’avversario giungerà fino alla sua disumanizzazione – ed ecco il parossismo della violenza epistemica. ‘Stiamo combattendo contro animali umani e dobbiamo agire di conseguenza’ (Yoav Gallant, ministro della Difesa di Israele). Il contesto di questa affermazione, e molto più i fatti che ne sono seguiti, configurano secondo Raz Segal, esperto mondiale in Olocausto e politiche genocidiarie, un reato di genocidio, appunto. Chiamatelo come vi pare: in una settimana Israele ha lanciato tante bombe su quel fazzoletto di terra quante ne hanno lanciate gli Statuti Uniti sull’Afghanistan in ciascun anno della loro ‘guerra al terrorismo’.”

Abbiamo voluto iniziare questa recensione del fondamentale libro di Francesca Albanese affrontando due profili della mattanza palestinese: i numeri e l’utilizzo del termine genocidio.

L’abbiamo fatto perché, per quanto riguarda i numeri, essi permettono di ribaltare quella “gerarchia delle morti” che viviamo oggi giorno nella infodemia in cui viviamo. Un morto israeliano (che diventa vittima di un attentato) vale enormemente di più di un morto palestinese (che diventa decesso). Finanche un morto ucraino, che vale comunque meno di un morto israeliano, vale molto di più di un morto palestinese.

Viviamo una gerarchia delle morti disumanizzante.

Per quanto riguarda il concetto di genocidio, è bene affrontarlo, non fosse altro perché i sindacati fratelli di tanti paesi, non solamente i paesi di cultura araba, lo usano riguardo a ciò che succede in Palestina. Così come (ma questo più nei sindacati arabi) usano il termine “martiri” riguardo alle decine di migliaia di morti palestinesi.

Il libro di Francesca Albanese è il libro di una giurista esperta in diritto internazionale, la quale ha votato la sua vita alla difesa dello stesso diritto internazionale, il quale si incontra con una visione de-coloniale, nella quale “i due pesi, due misure” di tante politiche di potenza, e di tanti consessi di diritto internazionale, non ha cittadinanza.

Il libro-intervista, agile e di facile lettura, è un sunto emozionante di chi usa un ruolo di grande responsabilità per ricercare la giustizia, senza annacquare le proprie posizioni “in ragione del contesto”.

Esso è suddiviso in 7 capitoli, che ruotano intorno a delle parole-chiave: terrorismo, disumanizzazione, occupazione, colonialismo, apartheid, democrazia, carceralità.

Il titolo emblematico e programmatico “J’Accuse” riprende una locuzione che, in italiano, potrebbe essere il pasoliniano “io so i nomi”, recentemente usato anche al congresso della CGIL.

Il J’Accuse di Francesca Albanese, come ci spiega l’autrice nell’introduzione, riprende anche la prima frase del famoso articolo di Emile Zola del 1989: “la verità prima di tutto”.

A fronte degli atroci crimini contro i civili israeliani del 7 ottobre 2023, questo libro ricostruisce con precisione il contesto e stabilisce cosa, militante del movimento dei lavoratori e per la pace come noi e non componente di un organismo internazionale, dovrebbe fare: stare con la Palestina.

Senza entrare nello specifico di ogni capitolo, riprendiamo solamente quello dedicato alla parola terrorismo, che si è ritrovata, anche declinata quale aggettivo, in alcune dichiarazioni e documenti sindacali.

Sul tema Francesca Albanese è chiarissima: è crimine di guerra quanto realizzato da Hamas il 7 ottobre 2023, così come uccidere indiscriminatamente civili, come sta realizzando Israele da più di 100 giorni.

Per quanto riguarda la categoria del “terrorismo”, “la lettura degli eventi in termini di terrorismo va gestita con cura. Se i crimini compiuti dai paramilitari arrivati da Gaza possono configurarsi come atti terroristici secondo la definizione di alcuni Stati o regioni (non esiste una definizione unica o una normativa internazionale vincolante in materia), la soluzione non può risiedere nelle misure anti-terrorismo. Quali? Quelle di quale Stato?  La risposta è da ricercare nel quadro normativo consuetudinario e dei trattati […]. Non c’è dunque un vuoto legislativo su questo punto. Il diritto internazionale umanitario offre il quadro giuridico valido a livello globale per chiarire la natura dei conflitti e la condizione delle persone soggette e coinvolte negli stessi. E il termine ‘terrorista’ non è contemplato. Utilizzare il termine ‘terrorista’ è pericoloso, perché rischia di portare i palestinesi, insieme ai miliziani di Hamas, dall’ambito normativo più ampio del diritto a quello della politica, che potrebbe disumanizzare le persone e le ragioni per le quali il conflitto è scoppiato.

I combattenti di Hamas sono una forza militare non statale”.

Per via di ciò che è accaduto e sta accadendo, il mondo, e l’area mediterranea in particolare, non sarà più quella di prima.

I sindacati europei, da questo libro, possono imparare come il diritto internazionale può aiutare l’emancipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, e realizzare il loro diritto all’autodeterminazione in quanto popoli, se poi, in modo lineare, quei principi vengono calati nell’attività militante quotidiana.

Il Mediterraneo del 2024, a differenza anche solo di 20 anni fa, è un mare pieno di navi da guerra, con una potenza distruttiva paurosa. Si tratta di decidere da che parte stare.

Le elaborazioni, anche recenti, del sindacato in relazione al pratiche genocidiarie a Gaza, ed alla polveriera mediterranea, andrebbero aggiornate.


[1] https://euromedmonitor.org/en/article/6079/In-4th-month-of-Israeli-genocide,-4-percent-of-Gaza%E2%80%99s-population-dead,-missing,-or-injured;-70-percent-of-Strip%E2%80%99s-infrastructure-destroyed