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Raggiungere l’indipendenza energetica della Sardegna con le energie rinnovabili, per sviluppare un’economia matura e sostenibile – di Ignazio Carta

“I have a dream” (M.L.King)

Raggiungere l’indipendenza energetica della Sardegna con le energie rinnovabili, per sviluppare un’economia matura e sostenibile


In Sardegna abbiamo ottenuto da diversi anni l’autosufficienza nella produzione di energia elettrica (circa 12.000 MWh), e poiché il consumo interno si ferma a meno di 9.000 MWh, per oltre 1/3 viene esportata. I ricavi e i guadagni vanno però quasi tutti fuori, nel Continente italiano o all’estero: ecco perché conviene, ed è urgente raggiungere ora l’indipendenza energetica.

Siamo impegnati tutti nella transizione ecologica. Nella COP 26 – Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del novembre 2021, 197 Stati hanno raggiunto l’accordo per tagliare le emissioni di CO2 del 45% entro il 2030, e a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

La Sardegna ricca di sole e di vento, circondata dal mare, è considerata la prima Regione d’Europa che ha possibilità concrete di diventare carbon free entro il 2030.

L’energia prodotta nella nostra Isola proviene ancora per più del 70% da fonti fossili. Le centrali alimentate a carbone, idrocarburi, gas, immettono in atmosfera la più elevata quota pro capite di emissioni climalteranti fra le Regioni italiane: il 71% in più della media nazionale.

Ecco pertanto l’urgenza di avviare al più presto la de-carbonizzazione, con lo smantellamento delle centrali inquinanti e la loro sostituzione con impianti diffusi di energia rinnovabile e pulita.

Il Piano energetico italiano aveva previsto entro il 2025 (ora rinviato al 2028) la chiusura delle centrali a carbone di Fiumesanto e di Portovesme (quest’ultima già riconvertita in parte a gas), insieme all’installazione di sistemi di accumulo elettrico con le rinnovabili per 500 MW entro il 2025 e alla messa in esercizio di un nuovo cavo di distribuzione di energia elettrica da posare in mare da e verso la Penisola: il cosiddetto Thyrrenian Link.

Nell’Isola è partita immediatamente la campagna di resistenza alla chiusura da parte dei portatori di interesse, proprietari delle centrali, lavoratori diretti e dell’indotto, insieme a sindacati e politici, che traggono le loro fonti di reddito e di guadagno da queste centrali destinate a sparire.

Ma dall’altro lato troviamo altrettanti interessi a favore dello sviluppo delle rinnovabili, in primo luogo interni alla Sardegna da parte dell’opinione pubblica e degli operatori del settore, ma soprattutto esterni, costituiti dalle imprese produttrici di componenti per gli impianti eolici e fotovoltaici, installatrici di grossi impianti e società finanziarie esterne che vedono in Sardegna laute prospettive di guadagno.

 Progetti per miliardi di euro e decine di migliaia di Megawatt di potenza sono stati presentati per l’approvazione al MITE (Ministero per la transizione ecologica) per installare campi fotovoltaici, impianti eolici a terra e in mare.

Le società proponenti hanno nomi a volte accattivanti, ma la loro proprietà ha quasi sempre sede fuori dalla Sardegna: per il solo eolico offshore abbiamo proposte di:

  • Repower Renewables p.a., svizzera;
  • Nora Ventu s.r.l., milanese (ma fa capo a Morgan Stanley Italia, banca d’investimento);
  • Ichnusa Wind Power, anch’essa milanese;
  • Seawind Italia s.r.l., sede a Portoscuso ma che fa capo anch’essa a una multinazionale anglo-olandese.

E’ utile innanzitutto porre una domanda: perché grandi gruppi finanziari ed energetici fanno a gara per ottenere concessioni e autorizzazioni ad installare campi fotovoltaici o impianti di energia eolica offshore?

Per rispondere basta fare due conti, che è bene seguire anche se un po’ complicati.

Il prezzo dell’energia elettrica – e quindi anche il ricavo per chi la produce – è passato in un anno, tra il 2021 e il 2022, da 0,11 a 0,38 Euro al Kilowattora (Kwh).

Si prevede che a regime non scenderà sotto i 0,25 Euro a KWh.

Consideriamo tale valore medio di 0,25 Euro a Kwh, e prendiamo l’esempio di un impianto eolico offshore da 1.000 MW di potenza che prenda il vento per 1.600 ore all’anno (un valore minimo), per cui produrrà un totale di 1.600 GWh (= 1,6 miliardi di Kwh).

Otterremo un ricavo annuo di 400 milioni di euro, ovvero 4 miliardi di Euro in 10 anni.

Il costo di installazione di un impianto da 1.000 MW di potenza (= 1 GW) si aggira intorno a 1,2 miliardi di Euro.

Nei primi 10 anni di esercizio, considerando anche costi di manutenzione per 100 milioni di Euro all’anno, avremo un costo totale di 2.2 miliardi di Euro e un ricavo di 4 miliardi di Euro, con un guadagno netto di 1,8 miliardi di Euro e un rendimento dell’81% .

Il costo dell’investimento iniziale è ammortizzato in 3 anni circa, ma l’impianto resterà in funzione per altri 20-30 anni circa, e renderà un guadagno netto pari a circa 300 milioni annui, ovvero 7,8 miliardi di Euro nell’intero arco di vita dell’impianto.

Se consideriamo la produzione totale annua di energia in Sardegna, considerando anche le fonti fossili, pari a 12.000 GWh di energia prodotta annualmente, troviamo che ai produttori di energia torna un ricavo netto a regime di 300 milioni x 12 = 3,6 miliardi di Euro annui, di cui il 33% (1,2 miliardi) derivano dalle esportazioni di energia, mentre la bolletta elettrica interna costa ai sardi all’incirca 2,4 miliardi di euro.

Da questi calcoli, un po’ ostici ma significativi, deriva un’ulteriore domanda: a fronte di un ricavo per i produttori di 3,6 miliardi annui, quanto ritorna ai sardi per l’energia da loro direttamente prodotta?  La risposta è semplice: quasi niente.

La quasi totalità dei ricavi dell’energia prodotta in Sardegna va ad arricchire le fortune di imprenditori privati con sede fiscale in Italia o all’estero (il gruppo Moratti di Milano, la Fiumesanto S.p.a. del gruppo EPH con sede nella Repubblica Ceca), e di altri gestori italiani del mercato libero dell’energia, mentre una parte minoritaria finisce nel bilancio dell’Enel, che è solo in parte di proprietà pubblica, e una piccolissima parte ai proprietari sardi di piccoli e micro impianti fotovoltaici o eolici.

Ecco perché, a mio parere, dopo esserci posto il problema non possiamo non risolverlo nel senso di raggiungere al più presto l’indipendenza energetica, evitando di autorizzare ulteriori concessioni del nostro territorio a società finanziarie o imprenditori non sardi, soprattutto quelli con sede all’estero.

Se la proprietà dell’infrastruttura energetica rimanesse in Sardegna, la nostra bolletta elettrica sarebbe pari a zero e potremmo avere un guadagno netto dall’esportazione di energia, che diventerebbe finalmente per l’isola non un’oppressione coloniale ma una risorsa in grado di creare benessere diffuso per tutti i suoi abitanti: vale la pena farci un pensierino.

“Si su chelu fit in terra”

Il sole, il vento, l’acqua, il mare, sono beni di cui la Sardegna dispone in quantità più che abbondante, e costituiscono le fonti energetiche del futuro, quindi una potenziale fonte di reddito e di sviluppo per tutti i sardi.

 Dobbiamo considerarli un bene comune, che appartiene a tutti gli abitanti: è necessario che restino tali, di proprietà pubblica e non vengano privatizzati.

Dobbiamo infatti evitare di ricadere nella logica subalterna del colonialismo, come dimostra la vicenda delle chiudende (non solo in Sardegna, del resto); abbiamo tutti in mente i versi di Ignazio Mannu:

“Tancas serradas a muru, fattas a s’afferra afferra, 

si su chelu fit in terra che l’aian serradu puru”.

Ora, 200 anni dopo la scrittura di quei versi, ci troviamo immersi in un sistema capitalistico avanzato, in cui anche il cielo può essere conquistato, comprato e venduto; ma come è vero che il sole, il mare e il vento sono un bene di tutti, come l’aria e l’acqua, non possiamo consentire che arrivino in Sardegna imprese multinazionali o società finanziarie con sede chissà dove, a prenderceli e rivenderseli, realizzando enormi profitti che poi finiscono nelle tasche di pochi.

Ma come conciliare i beni comuni con le regole del mercato e della proprietà privata?

In qualche modo si può, basta mantenerli per quello che sono, un bene pubblico, e considerare gli impianti di produzione una infrastruttura primaria che pertanto, anche ai sensi della nostra Costituzione, può essere ricondotta nella proprietà o nel controllo dello Stato o della Regione. La proprietà dell’infrastruttura può rimanere fin dall’origine in mano pubblica se realizzata con fondi pubblici, e dislocata nelle aree pubbliche regionali, comunali, demaniali.

Le società private, secondo le regole italiane ed europee, avranno il loro ruolo in quanto saranno chiamate a partecipare alle gare pubbliche per la realizzazione o la gestione, a volte anche tramite il project financing o in concessione, ma fermo restando che la proprietà rimarrà sempre pubblica.

I piccoli impianti fotovoltaici, agri-fotovoltaici o mini-eolici devono poter essere realizzati dai cittadini e dalle imprese sarde, ma la mia idea è che i grossi impianti, soprattutto i parchi eolici offshore, i campi fotovoltaici estesi e gli impianti solari termodinamici a concentrazione, oltre a quelli idroelettrici, vengano finanziati direttamente dalla Regione sarda, e la realizzazione affidata a propri enti strumentali costituiti ad hoc, a cui dovranno essere affidate le procedure di progettazione e affidamento dei lavori.

Del resto in Italia l’energia elettrica è stata prodotta e gestita per decenni in regime di monopolio pubblico tramite l’ENEL, società che in cui lo Stato è ancora il maggiore azionista (24%), oltre alla società di distribuzione TERNA che è controllata dallo Stato tramite la Cassa Depositi e Prestiti (34%).

Altrettanto può fare la Regione sarda, ma già lo fa per certi aspetti ad esempio con ENAS, Ente Acque Sardegna che gestisce le dighe, mentre dispone anche di una cassaforte finanziaria, la SFIRS.

Ma come può l’Amministrazione regionale, con un bilancio annuale di 9 miliardi di Euro, finanziare infrastrutture così costose, e senza entrare in concorrenza con lo Stato e i privati?

Ogni giorno vengono lanciati allarmi sul rischio concreto per la Sardegna di perdere le risorse messe a disposizione della Regione da fonti di finanziamento statali ed europee.
L’attuale emergenza impone la massima accelerazione di questi programmi, ma occorrono idee chiare, capacità programmatoria e una forte struttura organizzativa per l’attuazione. 
La Regione può utilizzare tali fondi per realizzare in breve tempo un’infrastruttura produttiva pubblica nel campo delle energie rinnovabili.

Il Fondo di Sviluppo e Coesione della Regione (FSC 2014-2020) presenta uno stanziamento di 5 miliardi di euro che dovevano essere già tutti impegnati e in gran parte spesi: in realtà gli impegni si fermano al 62% e i pagamenti al 41%. Si tratta di oltre 2 miliardi di euro che non riusciamo a impegnare, e che potrebbe andare perduto.

Segue a ruota il Fondo Europeo di Sviluppo regionale (FESR) 2021-2027: si tratta di altri 2 miliardi di euro, nel quale le misure dedicate alla transizione ecologica rivestono un ruolo primario.

Ci sono poi i fondi del PNRR che devono essere impegnati subito, entro quest’anno o il prossimo al massimo, e spesi entro il 2026. Al Sud Italia sono destinati oltre 81 Miliardi di Euro, alla Sardegna spetterebbe il 12% di tale quota, ovvero quasi 10 miliardi di Euro, ma finora le sono stati destinati soltanto 1,2 miliardi per la sua incapacità di spenderli.

Non sappiamo programmare per tempo e non riusciamo a spendere entro i tempi previsti, disperdiamo le risorse in mille rivoli. Eppure si potrebbero recuperare tante risorse, concentrandole in pochi progetti strategici cantierabili in breve tempo: abbiamo a disposizione un’opportunità unica per trasformare la Sardegna e preparare fin da ora l’Isola del futuro.

L’Amministrazione regionale può aprire un tavolo di colloquio con lo Stato e l’Unione Europea, rimodulare i programmi di spesa e potenziare gli obiettivi che già sono presenti, quelli della transizione ecologica, dell’efficientamento energetico, della decarbonizzazione.

Le tappe per il raggiungimento dell’indipendenza energetica devono essere ovviamente programmate in modo attento, stabilendo le modalità e relative tempistiche di attuazione, iniziando da alcuni punti cardine:

  • Aggiornamento del Piano regionale dell’energia (2022), prevedendo la produzione di energia da fonti rinnovabili con un mix equilibrato di fotovoltaico, eolico a terra (pubblico e privato) e in mare (proprietà pubblica RAS o a maggioranza pubblica); idroelettrico (proprietà pubblica RAS), geotermico (pubblico e privato), sistemi di accumulo e idrogeno (per tutti realizzazione fra il 2022 e il 2030).
  • Studio e approvazione, dopo adeguata consultazione popolare, della Mappa delle localizzazioni non impattanti per l’ambiente e il paesaggio, vocate per la localizzazione degli impianti energetici (2022);
  • Costituzione con legge regionale di una Società per l’energia della Sardegna, per la realizzazione e gestione degli impianti, e della porzione della rete di distribuzione realizzata con proprie risorse;
  • Attingere i finanziamenti dai Fondi statali ed europei già attribuiti alla Sardegna, in parte già destinati alla transizione ecologica e alle energie rinnovabili, in parte da rimodulare con le risorse non impegnate e a rischio di non utilizzo.

Il Piano regionale dell’energia dovrà contenere anche le linee guida per il raggiungimento degli ulteriori obiettivi, collegati ai primi:

  • De-carbonizzazione e smantellamento delle centrali alimentate con combustibili fossili (2025-2030)
  • Riduzione dei tempi della transizione energetica col Gas naturale (entro il 2030)
  • Incentivazione delle Comunità energetiche rinnovabili (CER) in tutti i Comuni della Sardegna (2022-2028);
  • Aggregazione delle CER in Distretti produttivi, e infine in un’unica Comunità energetica regionale;
  • Completamento della bonifica delle aree industriali dai residui petrolchimici, tossici e nocivi (2022-2030);
  • Promozione di sistemi produttivi puliti, con imprese agricole e industriali sostenibili, turismo sostenibile, gestione efficiente dei rifiuti e riciclo in un’economia circolare (2022-2030;
  • Perseguimento dell’obiettivo finale di una Sardegna a emissioni zero, produttrice ed esportatrice di tecnologie pulite, a zero emissioni, entro il 2030.

Il piano energetico Nazionale ha previsto la realizzazione nel mare di pertinenza della Sardegna di impianti eolici offshore per 2.600 MW di potenza, e 2.400 MW di pannelli solari, da realizzare entro il 2025.

Si tratta di 5.000 MW di potenza aggiuntiva (sostitutiva delle fonti fossili attuali) che, aggiunti ai 3.000 MW di rinnovabili già installate, a sistemi di accumulo per 1.000 MW, a 1.000 MW potenziali di agri-fotovoltaico e 1.000 MW potenziali delle Comunità energetiche rinnovabili, farebbero 11.000 MW di potenza, in grado di rendere la Sardegna autosufficiente dal punto di vista energetico con il solo utilizzo delle energie rinnovabili, da realizzare con i giusti tempi e calibrando attentamente il bilanciamento delle reti di distribuzione in base alle esigenze dei diversi Distretti territoriali. 

La produzione di energia in Sardegna deve essere considerata pertanto non solo in termini privatistici, ma in termini di infrastruttura pubblica e di servizio pubblico, funzionale alle esigenze dei sardi in primo luogo, ma inserita nel più vasto sistema energetico dell’Italia e dell’Europa.

Finanziamento pubblico degli impianti e loro localizzazione

La Sardegna dispone di sole, vento e mare in abbondanza per tutte le proprie esigenze di sviluppo e anche per esportarne una parte, realizzando entrate notevoli a vantaggio di tutti i sardi, purché queste vengono considerate un bene pubblico e non privatizzabile, e lo sfruttamento di tali risorse un’infrastruttura pubblica, non una semplice impresa produttiva privata. 
Con l’aggiunta dei sistemi di accumulo già programmati, il potenziamento della capacità di produzione e pompaggio nel sistema idroelettrico e una piattaforma di produzione di idrogeno verde col sistema elettrolitico, è un sistema che può reggere ed essere realizzato in pochissimi anni.

Da qui una proposta molto semplice: la Regione Sardegna utilizzi 4 miliardi di Euro, di cui 2 miliardi recuperati dalle quote non impegnate dal Fondo Sviluppo e Coesione, e altri 2 miliardi dagli altri programmi ancora in fase di programmazione (FESR 2021-2027, PNRR 2021-2026), per finanziare direttamente due campi fotovoltaici, un impianto solare termodinamico e due impianti eolici offshore pubblici, questi ultimi al largo delle coste sarde, in porzioni del mare di pochi chilometri quadrati, studiate con metodo scientifico e scelte dalla regione in modo da coprire almeno metà del fabbisogno complessivo di energia rinnovabile, per sostituire in tal modo l’energia termica prodotta dalle centrali attualmente alimentate a carbone e combustibili fossili, in primis quelle di Portovesme e di Fiume Santo, ma in prospettiva anche Sarroch.

Trattandosi di produzione discontinua, occorrerà trovare un bilanciamento tra gli impianti fotovoltaici, termodinamici, idroelettrici, eolici offshore, il geotermico, gli accumuli elettrici, i cavi sottomarini, gli impianti di produzione di biocombustibili, l’idrogeno.

A loro volta, il fotovoltaico potrà essere distribuito in modo sostenibile tra gli impianti delle Comunità energetiche rinnovabili, cui parteciperebbero le aree e gli edifici pubblici; quelli delle zone industriali, delle zone rurali con l’agri-fotovoltaico, insieme ad alcuni campi fotovoltaici più estesi, da situare in zone disabitate di proprietà pubblica, che in Sardegna possono essere identificate ad esempio nelle attuali aree soggette a servitù militari: ad esempio il Salto di Quirra, Capo Frasca, Capo Teulada,.

Da zone di addestramento per portare distruzione e morte, le servitù militari potranno diventare fonte di energia e di vita.

Il Piano dovrà prevedere la massima salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio.

La loro tutela è tuttavia garantita dal fatto che gli impianti fotovoltaici saranno concentrati in poche zone lontane da luoghi di passaggio, strade e centri abitati, e posizionati a un’adeguata altezza da terra, in modo da preservare l’illuminazione del terreno e consentire l’inerbimento, la crescita degli alberi e la prosecuzione delle attività agricole e di allevamento.

 Gli impianti eolici dovranno essere disincentivati nel territorio interno dell’isola, salvo piccoli impianti rurali al servizio delle CER o delle attività agricole, con un limite all’altezza delle pale orientativamente non superiore a quella dei tralicci della media-alta tensione della zona in cui sono posizionate.

Gli impianti eolici in mare dovranno invece essere galleggianti, invisibili a lunghe distanze da terra, non creare intralcio alla navigazione, né alla flora o alla fauna marina.

Per gli impianti fotovoltaici in zona agricola, le norme già prevedono la possibilità di installare tettoie solari sopraelevate sulle colture, in una ridotta porzione del fondo e proporzionata al fabbisogno delle aziende, solo da parte degli stessi imprenditori agricoli conduttori del fondo, a condizione che sia garantito il mantenimento delle colture stesse, con un piano produttivo asseverato che dimostri la compatibilità dei due impianti, agricolo ed energetico. 

L’energia pulita generata da questo sistema consentirà di tutelare maggiormente il territorio, la flora e la fauna terrestre, e consentirà di produrre beni e servizi in modo pulito, non inquinante, a emissioni zero, per un ruolo della Sardegna molto più importante di quello attuale, al centro del Mediterraneo, ponte fra l’Europa e l’Africa.

Con le energie rinnovabili disponibili per certe ore del giorno in sovrappiù, sarà possibile ad esempio posizionare in Sardegna le più avanzate tecnologie per le batterie elettriche, l’elettrolisi dell’idrogeno, i de-salinizzatori, gli impianti energetici rinnovabili e altri impianti civili, per l’irrigazione, la refrigerazione, la generazione elettrica e di calore  cosiddetta “a isola” per le zone isolate, ad esempio, da destinare in primo luogo all’Africa subsahariana, che si candida a diventare produttore di energie solari e di idrogeno per la stessa Africa e per la fascia Nord europea.

Incentiviamo le Comunità Energetiche Rinnovabili

Insieme alla de-carbonizzazione, il principale impegno di un’Amministrazione regionale volta alla crescita solidale e alla democrazia energetica deve essere quello di incentivare, insieme all’efficienza e al risparmio di energia, la costituzione delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) in tutti i 377 comuni dell’isola, le cui amministrazioni dovranno dotarsi dei Piani d’azione per l’energia sostenibile (strumento già adottato dal Patto dei Sindaci per il clima e l’energia), con l’obiettivo del risparmio e dello scambio reciproco di energia, con le finalità del superamento della povertà energetica e l’autosufficienza tra produzione e consumo.

Successivamente tali Comunità potranno essere rese ancor più efficienti con la formazione dei Distretti energetici, in cui potranno entrare in gioco anche le imprese dislocate nelle aree artigianali e industriali, che usufruiranno della produzione di energia proveniente dagli impianti sia propri che di proprietà regionale.

Infine, per il sistema dei trasporti occorrerà programmare il passaggio generalizzato alla trazione elettrica, con sistemi di ricarica diffusi in tutto il territorio regionale e, per i mezzi pesanti, l’utilizzo dei biocarburanti e dell’idrogeno verde, prodotto quest’ultimo mediante elettrolisi in impianti che possono essere situati nei siti sede delle stesse centrali termiche dismesse e riconvertite, alimentati dall’elettricità prodotta nelle ore di picco dai campi eolici e fotovoltaici.

Con l’aggiunta dei sistemi di accumulo già programmati, il potenziamento della capacità di risalita dell’idroelettrico e una piattaforma di produzione di idrogeno verde col sistema elettrolitico, è un sistema che può reggere ed essere realizzato in pochissimi anni.

E il famoso gasdotto GALSI?

Al posto del gasdotto, opera fortemente impattante e anche ormai fuori tempo massimo, possiamo utilizzare la rete ferroviaria sarda, che dovrà fortemente potenziata, estesa alle zone interne della Sardegna, a doppio binario, a scartamento unico, elettrificata (o funzionante a idrogeno), con treni che possono essere caricati sulle navi e attraversare il mare, e che con i carri cisterna potranno trasportare, nelle ore notturne, per un po’ ancora il gas naturale, successivamente l’idrogeno necessario al funzionamento degli impianti industriali, civili e dei grossi mezzi di trasporto.


Diamo impulso alla transizione ecologica

I tempi che corriamo sono pieni di rischi (guerra, pandemia, clima), ma anche di opportunità. Ci troviamo nel mezzo di una rivoluzione tecnologica che nel giro di qualche decennio trasformerà il nostro modo di produrre, di muoverci, di vivere.

Abbiamo già vissuto nell’800 la seconda rivoluzione industriale, nel ‘900 la terza; abbiamo conosciuto i Piani di Rinascita, i danni dell’industria petrolchimica, poi la quarta rivoluzione tecnologica, elettronica, delle telecomunicazioni, informatica, multimediale, digitale.

La crisi energetica e climatica spinge il mondo verso la prossima rivoluzione, quella dell’economia ecologicamente sostenibile: economia verde, circolare, delle energie rinnovabili.

La Sardegna di oggi è già molto diversa da quella di 70 anni fa, uscita dalla seconda guerra mondiale.

Con molta lentezza e fatica siamo riusciti ad avviare a soluzione problemi fondamentali come quelli della viabilità, della disponibilità di acqua per gli usi domestici, agricoli e industriali, della dotazione di fognature, impianti di depurazione. 

Immaginiamo ora come desideriamo l’Isola del domani: un territorio pulito, bonificato dai veleni, governato da noi stessi, dotato di energia a volontà e con costi irrisori per tutte le esigenze domestiche, produttive, industriali, dei trasporti; agricoltura sana, rivitalizzata e tesa all’autosufficienza; città libere da emissioni, con energia pulita e abbondante per scaldare e climatizzare le case, mobilità senza affanno con trasporti pubblici diffusi e spazio per pedoni e bici; territorio dotato di ferrovie elettrificate che raggiungono tutte le subregioni dell’isola, e mezzi di trasporto alimentati elettricamente o con l’idrogeno; zone industriali bonificate, liberate dai rottami della petrolchimica e pronte ad accogliere nuove industrie leggere e pulite, a zero emissioni, capaci di produrre ciò che occorre con le nuove tecnologie, nell’ambito del nuovo assetto geopolitico che vede la Sardegna come un centro propulsore di scambi tra l’Europa, il Mediterraneo e l’Africa.

Un turismo che possa costituire un’esperienza unica, un’immersione totale in una natura di nuovo incontaminata ma in una realtà tecnologicamente avanzata, un’isola priva di veleni e ricca di cultura e foreste, di tradizioni e ricordi del passato ma contemporaneamente aperta al mondo e ai frutti migliori della civiltà moderna.

Tutto questo è possibile realizzarlo se utilizziamo i fondi attualmente disponibili e finora non utilizzati per realizzare una veloce ed efficace transizione energetica. 

Davanti a noi si stanno aprendo varchi che dobbiamo cogliere: sono le migliori opportunità da 50 anni a questa parte, dalle fallimentari esperienze della Rinascita petrolchimica piovuta dall’alto; sono le prime vere opportunità per un benessere diffuso, maturo e sostenibile della Sardegna.

Il momento giusto per cogliere tali opportunità è: ADESSO.

Ignazio Carta

Europa Verde – Cagliari

Maggio 2022