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FRANCISCU SEDDA – LA NAZIONE SARDA PER GOVERNARE IL PRESENTE

June 23rd, 2013  |  Published in Politica, Sardegna

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Qualche giorno fa Franciscu Sedda mi ha inviato un contributo sul futuro della Sardegna, dal titolo: “Aspettando i mondiali, la nazione sarda per governare il presente”. Il contributo è di spessore. Leggendolo, mi è venuto in mente Ho Chi Minh il quale, poco meno di un secolo fa, ragionando sui rapporti tra rivoluzionari e nazionalisti in un paese coloniale, diceva all’incirca che i nazionalisti sono sulla stessa barca dei rivoluzionari. Solamente, non compiono tutto il percorso, si fermano ai primi passaggi, mentre i rivoluzionari vanno più avanti e compiono, culturalmente e politicamente, tutti passaggi.

Mi è venuto in mente Ho Chi Minh perchè nello scritto di Sedda, che condivido, mancano alcuni passaggi che io, modestamente, avrei inserito. Su tutti, la politica estera e la questione sociale.

Politica estera significa basi, ragionare su guerra e pace nel Mediterraneo, nonchè ragionare su come le politiche economiche dell’Unione Europea stiano portando fame e disperazione nel mezzogiorno d’Europa, ed anche in Sardegna.

Questione sociale significa avere sempre in testa, come ho io, la vita di chi sta nelle periferie urbane, in mezzo a povertà e e degrado, mancanza di lavoro e di casa, nonchè un livello di accesso all’istruzione bassissimo. Lo stesso si potrebbe dire per le grandi sacche di povertà delle nostre comunità più piccole.

Proprio perchè, come dice Franciscu all’inzio, “il futuro della Sardegna va guardato con occhi asciutti e cuore caldo”, io mi sento di fare questi passi in avanti e di aggiungere, alla squadra a 11 di Sedda, altri due giocatori: la politica estera e la questione sociale.

Ho Chi Minh, giusto per ricordarlo, diceva che con questi nazionalisti bisogna per forza allearsi e, anzi, bisognava fare di tutto per contare nella società, specialmente in quelle colonizzate e non pronte a scoppi rivoluzionari.

Vi propongo, in integrale, il contributo di Franciscu, che potete trovare anche su http://novadores.net/

Enrico Lobina

 

 

Aspettando i mondiali, la nazionale sarda per governare il presente

Franciscu Sedda

I.

Il futuro della Sardegna va guardato con occhi asciutti e cuore saldo. E il cammino tortuoso che porta verso l’indipendenza percorso passo dopo passo.

L’autodeterminazione di un popolo si fonda su di una appassionata e consapevole volontà. Bisogna decidere oggi ciò che si vuole essere domani. Perché solo nella scelta di una meta e nell’azione che muove verso un orizzonte immaginato, intravisto, si può iniziare a costruire la Sardegna del futuro, il proprio Paese, il proprio Stato, la propria Repubblica.

Bisogna giocare d’anticipo, sfidare il tempo, osare inventare l’avvenire. Perché non c’è vento favorevole – in questo mondo grande e terribile – per il marinaio che non sa a quale porto vuole approdare.

È tempo dunque di mettersi in cammino. E l’autodeterminazione di un popolo cammina su due gambe. E cammina bene se queste due gambe sono ben salde e coordinate: coscienza nazionale e sovranità agita.

Provate a fare un passo e l’altro verrà da sé. E il secondo passo richiamerà il primo a un nuovo movimento in avanti. La coscienza nazionale alimenta il desiderio di agire sovranamente. La sovranità agita fortifica la coscienza nazionale, la fiducia in se stessi, il coraggio di prendersi nuove e sempre più grandi responsabilità. Un passo segue all’altro. La coscienza nazionale ha sempre bisogno di tradursi in una sovranità agita, per non atrofizzarsi o irrigidirsi. La sovranità agita si fa più forte ed efficace quanto più diffusa e sentita è la coscienza nazionale dei sardi. Un passo chiama l’altro.

Superiamo quella linea, dunque. Facciamo quel passo.

Del resto perché ci emozioniamo tanto davanti ad una bambina o un bambino che compie il suo primo passo? Perché sentiamo che in quel momento si apre per lei/lui la possibilità di arrivare ovunque. Si apre per lei/lui la possibilità di fronteggiare ogni sfida, giocare ogni partita, ambire a ogni traguardo.

E così anche noi, come popolo, dobbiamo ambire a giocare la nostra partita nel mondo, davanti al mondo, con il mondo.

Ecco, se l’indipendenza di un popolo equivale a giocare i mondiali, il percorso che precede l’indipendenza, quel percorso a cui oggi siamo chiamati o che già stiamo percorrendo, corrisponde alle qualificazioni. Il momento in cui si diventa grandi è ora. E grandi si diventa allenandosi al futuro, con senso di sacrificio e responsabilità, fortificando competenze e creando capacità, valorizzando il meglio di ciascuno per costruire una squadra – la nostra nazione, la nazione sarda – in cui tutti diano il loro contributo, in cui tutti, mossi dall’amore per la virtù e dalla virtù dell’amore per la propria terra, siano e si sentano protagonisti.

Ecco, oggi noi stiamo iniziando a prendere seriamente in considerazione che un giorno giocheremo i mondiali. Oggi stiamo decidendo che li vogliamo giocare, come popolo e come nazione. E che ora ci toccano, come è giusto, le qualificazioni. Perché il mondiale non te lo regala nessuno. Te lo devi conquistare.

 

II.

Nessuna formazione è per sempre. E il modulo di gioco può cambiare a seconda della competizione, dell’avversario, del risultato momentaneamente necessario. Spesso il modulo va modificato durante la stessa partita. Ma una scelta bisogna farla e non si tratta semplicemente di schierare degli uomini o delle donne in campo. Si tratta di delineare una visione di gioco, una strategia, una serie di schemi, movimenti, relazioni che si tratterà di adattare e concretizzare di volta in volta, di situazione in situazione, con creatività e velocità, fiuto e coraggio. Perché è sulla base della partita da giocare e degli obbiettivi da ottenere che si capisce chi è meglio mandare in campo, in quale ruolo, con quali compiti. Perché, tuttavia, quando la partita prende il via, la palla rotola e gli avversari – lo Stato, il contesto geopolitico, la crisi economica, la nostra poca fiducia in noi stessi, lo scoramento davanti alle normali difficoltà – iniziano a fare la loro parte bisogna essere pronti a fronteggiare l’imprevedibile, a cogliere le occasioni, a trasformare limiti e problemi in opportunità entusiasmanti mantenendo chiaro l’obbiettivo verso cui si tende. Arrivare a giocare i mondiali. E magari, chissà, una volta, persino vincerli.

Ecco dunque la formazione che io schiererei oggi. Per iniziare a giocare le nostre qualificazioni.

 

III.

In porta metterei l’Agenzia Sarda delle Entrate [1], perché il controllo della propria ricchezza è la prima difesa dei propri interessi. Del resto nessuno di noi lascia riscuotere il suo stipendio all’amministratore di condominio dicendogli “Tieniti i soldi delle spese condominiali e mandami tutto il resto!”. È tempo di accertare e riscuotere noi i nostri soldi applicando l’articolo 9 dello Statuto sardo. Per poter progettare con certezza e risorse gli interventi per la nostra terra e la nostra gente. Inoltre, una volta attivata la nostra agenzia, sarà appunto l’Agenzia Sarda delle Entrate a recuperare il debito (4,5 miliardi) che i sardi hanno maturato nei confronti dell’erario ma dopo i dovuti accertamenti, con i tempi e le modalità che il governo sardo riterrà più consone per poter dare respiro al nostro sistema delle imprese. Del resto, che senso ha recuperare un debito se nel mentre si distrugge l’intera economia sarda? Così facendo non solo si salva il lavoro di tanti sardi ma si recupera direttamente una parte di quei 10 miliardi di credito che la Sardegna vanta nei confronti dello Stato ma che altrimenti lo Stato non ci renderà mai.

In difesa metterei invece quattro riforme: della politica, della sanità, della pubblica amministrazione, del credito. Ognuno di questi ambiti dovrebbe essere al servizio del cittadino, al suo fianco, e invece sempre più spesso sono le persone ad essere al servizio di politici, dirigenti sanitari, burocrati, banchieri.

Molto si può fare per riportare queste istituzioni dalla giusta parte, per rimetterle al posto giusto. E la politica [2] è la prima ad essere chiamata a riformarsi, per dare l’esempio e riprendere credibilità, tagliando indennità e privilegi. Perché non si può pretendere di rappresentare la gente prendendo venti volte di più di un lavoratore comune. Ciò che invece non va tagliata è la rappresentanza. Un parlamento di pochissimi prepara la strada a una super-casta, una oligarchia, che mai potrà rappresentare la complessità della società sarda ma potrà solo mandare in definitiva pensione la democrazia.

A seguire va riformata la sanità [3] che oggi si mangia la maggior parte del budget della Regione Sardegna. Lo si può fare attraverso una gestione della spesa sanitaria onesta, trasparente, coordinata, razionale. E con la liberazione della sanità da interessi estranei alla qualità della cura e del servizio al paziente. E lo si può fare risparmiando a monte con la cura dell’ambiente, i servizi per madri e bambini, la promozione dello sport, la qualità dell’alimentazione sarda a partire dalle mense, la qualità delle strade e dell’educazione alla guida e così via. Una buona politica sa tenere insieme investimenti sulla qualità della vita e risparmio sulla spesa in sanità.

A seguire ci serve la riforma della pubblica amministrazione [4]. La PA è fondamentale nel supportare decisori, imprese, cittadini. La sua qualità – che si basa su democratizzazione, merito ed efficienza – è fondamentale per avviare progetti e ottenere quei fondi europei che troppo spesso ci sfuggono. In Sardegna la PA ha visto l’esplosione nel numero dei dirigenti e dei costi ma senza un ritorno dal punto di vista della qualità dei servizi. Questo anche perché troppo spesso la PA è stata trasformata in modo umiliante in lavoro socialmente utile delle élite, in rifugio di trombati, riciclati, amici e parenti di potenti. Insomma, ancora una volta, la politica è laddove non dovrebbe essere e non c’è quando serve: ad esempio quando si tratta di creare una scuola nazionale della pubblica amministrazione e concorsi trasparenti per garantire il merito e dunque la qualità della PA.

Infine in difesa ci serve una riforma del credito [5]. I 25 mld di depositi dei sardi non ci appartengono più, come dimostra il fatto che ben poco viene reinvestito in progetti e attività produttive in Sardegna. E anche chiedere un mutuo è diventato ormai impossibile. È tempo di riportare a casa i nostri soldi utilizzando ad esempio l’inapplicato articolo 4 dello Statuto che consente di costruire un albo delle Banche Sarde, stabilire noi la quota di capitale minimo necessario, definire un sistema imparziale di vigilanza. E così pure è tempo di aprirsi, anche istituzionalmente, a quei progetti che in giro per il mondo puntano a ricollegare il credito al territorio, alle comunità, a singoli progetti mirati eticamente e socialmente sostenibili. Le reti di scambio commerciale, gli investimenti in progetti locali, le banche comunali, le reti di credito cooperativo dimostrano che ciò che conta non è produrre denaro dal denaro ma attivare economia, costruire fiducia, fare società.

Ora, difendere i nostri cittadini, metterli al riparo da una politica che ha smarrito il suo ruolo, creare le condizioni per cui i loro soldi non vadano persi, la loro salute sia garantita, la pubblica amministrazione li supporti, il credito sia accessibile è necessario, indispensabile, ma non sufficiente a creare un grande progetto di governo e trasformazione della Sardegna. Per costruire la Sardegna del futuro serve qualcosa in più, serve visione e capacità di rilancio, serve lavoro sui fondamentali e istinto a giocare all’attacco.

Per questo a centrocampo abbiamo bisogno di solide e sane infrastrutture materiali e immateriali. E queste infrastrutture devono “poggiare” su un territorio altrettanto solido e sano.

Per questo bisogna ripartire da una serie di progetti di bonifica e riconversione [6] delle aree militari e industriali colpite da certificati disastri ambientali facendo valere il principio internazionale “chi inquina paga”. E bisogna al contempo immaginare e costruire il futuro di queste aree: recuperandole al turismo, valorizzandone se possibile il patrimonio architettonico, costruendo luoghi per scuole internazionali di formazione alla protezione civile e ambientale, alla cooperazione e mediazione interculturale. E ancora, capendo cosa si vuole salvare della tradizione industriale sarda e cosa invece va velocemente trasformato utilizzando la leva della fiscalità e degli investimenti mirati in formazione. Mentre salviamo il salvabile della nostra tradizione operaia dobbiamo costruire un nuovo presente fatto di tecnologie dell’energia verde e delle telecomunicazioni, ingegneria medica e dei materiali, farmaceutica e cantieristica. E dobbiamo diventare una eccellenza nel recupero e nel riuso dei rifiuti, dando al mondo un esempio virtuoso.

Questo è il vantaggio dei piccoli Stati: potersi muovere più agilmente e velocemente nel mare tempestoso della globalizzazione cogliendo opportunità nel cambiamento. Per farlo bisogna essere ben governati e ancor prima aver formato un popolo consapevole, competente, libero e indipendente mentalmente. Per questo nel cuore del centrocampo ci sono gli interventi e investimenti in istruzione e ricerca [7]. Possibili già oggi grazie all’articolo 5 dello Statuto. Possibili come dimostrano le buone politiche messe in atto nella scorsa legislatura che in breve tempo ci hanno portato a recuperare posizioni nelle graduatorie sulle competenze matematiche e scientifiche, di lettura e problem solving. Bisogna credere nell’istruzione come il miglior investimento garantito che una comunità può fare. Investire su un’università e una ricerca di qualità significa infatti non solo formare sardi liberi e capaci. Significa trattenere in Sardegna corpi che altrimenti porterebbero la loro intelligenza e le risorse delle proprie famiglie fuori dall’isola. Significa puntare sull’economia della conoscenza, sulle summer school internazionali, sul valore dei brevetti, sulla ricchezza prodotta dall’innovazione.

Contemporaneamente dobbiamo investire su quelle infrastrutture [8] materiali che in buona parte paghiamo già noi e che tuttavia non controlliamo. Si pensi alla scandalosa gestione delle strade e delle ferrovie in Sardegna, dei fondi sottratti, dei lavori infiniti o malfatti. Si pensi al trasporto marittimo e aereo fondamentali per il comparto turistico, fondamentali perché gran parte della ricchezza generata dal turismo finisce a chi gestisce i trasporti. Si pensi alle infrastrutture dell’acqua

e dell’energia, vitali e indispensabili ad ogni livello. Ebbene, su molti di questi comparti abbiamo competenze primarie. Eppure vediamo ogni giorno altri che, sulla nostra terra, sfruttano la ricchezza

prodotta tanto dai trasporti quanto dal sole e dal vento. Anche per questo è necessario riappropriarci

del centrocampo.

Infine c’è l’attacco. E in attacco dobbiamo giocare. Perché se ti chiudi in difesa alla fine il goal lo prendi invece che segnarlo. Per questo abbiamo bisogno di una battaglia politica e legislativa per la sovranità fiscale [9]. Perché il controllo della leva fiscale è ancora oggi l’elemento centrale delle politiche di governo. Perché la Sardegna con la sua diversità geografica, economica, sociale ha bisogno di politiche fiscali a misura dei suoi interessi e delle sue peculiarità. Perché solo manovrando la leva fiscale possiamo generare o attirare quei nuovi investimenti industriali che riterremo interessanti, rilanciare il comparto agropastorale, ricostruire un nostro mercato interno, ridar fiato all’edilizia favorendo il recupero o il rinnovo di quella parte del patrimonio urbanistico e rurale vecchio, brutto, non finito, diseconomico a livello energetico. Solo con la sovranità fiscale potremo recuperare le ingenti somme delle accise che oggi perdiamo e ridefinire il prezzo dei carburanti e dell’energia. Solo con la sovranità fiscale potremo progettare un sistema fiscale per le piccole imprese, che sono la maggior parte del nostro tessuto produttivo, meno vessatorio e burocratizzato. Solo con la sovranità fiscale potremo costruire un sistema che faccia veramente emergere il sommerso e sconfigga l’evasione, come si è fatto nel nord Europa, premiando i comportamenti virtuosi con la possibilità per i cittadini di detrarre il 50% delle prestazioni professionali.

E poi, al centro dell’attacco, la riforma istituzionale [10]. Per costruire, attraverso la legge statutaria, il nostro assetto interno, la nostra architettura federale, con al centro i comuni, le comunità, i territori. E poi la scrittura di una nuova carta di sovranità che dica, se ne avremo la forza, se sapremo finalmente essere uniti sulle questioni fondamentali, chi siamo e dove vogliamo arrivare: la nazione sarda in cammino verso la piena autodeterminazione. Perché solo chi tiene la testa alta ottiene rispetto.

E infine, a finalizzare e rilanciare il nostro gioco d’attacco, la crescita della coscienza nazionale dei sardi [11]. Per dare valore a noi stessi attraverso lo studio della nostra storia nazionale e della nostra lingua nazionale. Attraverso la riappropriazione e la piena valorizzazione del nostro patrimonio nazionale e del nostro paesaggio nazionale. Attraverso la costruzione di un nostro sistema dei media

che sia luogo di visibilità delle nostre narrazioni, della nostra creatività, e dia occasione di lavoro a tanti giovani sardi che si sono formati nel mondo della comunicazione e delle reti. E magari, infine, iniziando anche a promuovere la formazione delle nostre squadre nazionali. Perché è tempo di tornare ad agire sovranamente, è tempo di essere nuovamente nazione. È tempo di fare un nuovo passo. E giocare finalmente la nostra partita.

 

IV.

Quando da troppo tempo una terra vive in un silenzioso e rassegnato dominio, quando la sua memoria è nutrita di speranze disattese, di traumatici fallimenti, di cambiamenti incompiuti o interrotti, quando si trova gettata in una crisi disperante di cui non si vede via d’uscita è facile che i suoi abitanti sprofondino in umori cupi facilmente strumentalizzabili da furbizie e furbi di ogni tipo. I cattivi pensieri troppo facilmente portano a rabbie improduttive e nuove sudditanze. Troppo  spesso orgogli strumentali nascondono asservimenti indicibili. Per questo ad umori pericolosi bisogna rispondere con passioni irresistibili. L’impegno, la competenza, la cura per il bene della comunità, il coraggio di esporsi per il giusto, di sacrificarsi per la bellezza, di coltivare saggiamente l’utile. La passione per la libertà comune, l’amore per la virtù e la virtù dell’amore. Passioni che dobbiamo instancabilmente e testardamente fare nostre. Perché se vogliamo incamminarci lungo la strada dell’indipendenza nazionale dei sardi e della Sardegna è tempo di governare i processi, invece che subirli e lamentarsi ululando alla luna.

Oggi più che mai non ci serve a nulla un governo sardo che fa la lista dei problemi. Ci serve un governo sardo e dei sardi che metta in campo soluzioni vere, oneste, coraggiose, efficaci. Che ci facciano fare un nuovo passo nella direzione della sovranità agita, della coscienza nazionale, dell’autodeterminazione del popolo sardo. Bisogna continuare a camminare a testa alta, con i piedi ben piantati per terra, nella nostra terra, guardando avanti. Con occhi asciutti e cuore saldo. Con occhi asciutti e cuore sardo.

 

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