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La Ragion di Stato ed il destino della Sardegna

January 9th, 2011  |  Published in In evidenza, Politica, Sardegna

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L’articolo che si presenta è una sintesi del documento “La Ragion di Stato ed il destino della Sardegna”, che potete trovare alla fine della pagina.

Oggi in Sardegna esistono tre ambiti sui quali si concentrano gli interessi dello Stato e del grande capitale. Si tratta delle filiere energetica, turistica e militare. Agli squilibri causati dallo sviluppo impetuoso e incontrollato di queste tre si accompagna un costoso calmante sociale: il settore pubblico, che impiega il 9,2% della popolazione totale, senza contare l’indotto.

La sperimentazione militare in Sardegna ha acquistato una centralità sempre maggiore. Oggi il demanio militare ammonta a 24.000 ettari, a fronte dei 16.000 ettari occupati nella penisola italiana. Il 60% di tutte le installazioni militari sono dislocate in Sardegna
Le Forze Armate italiane affittano i poligoni ai loro alleati e alle aziende private ad un costo che si aggira intorno ai 50.000 euro l’ora. A quella cifra una settimana costerebbe quasi otto milioni e mezzo di euro. I poligoni non danno solo un importante vantaggio strategico all’Italia, ma sono anche un business.

Il turismo è una risorsa economica per i sardi, per un tessuto commerciale, alberghiero e micro-imprenditoriale diffuso. È una fonte di lavoro, seppure stagionale e spesso sommerso. Ma il prezzo qual è?
Tutto quello che un turista spende per arrivare nella “piscina d’Italia” va in tasca a un numero ristretto di compagnie aeree e navali, che non hanno nulla a che vedere con la Sardegna, a parte la Meridiana, che ha sede a Olbia e la cui proprietà è del Aga Khan. Nel 2007 sono stati registrati 2.280.173 arrivi, dei quali la maggioranza si sono accalcati lungo le coste nei siti maggiormente pubblicizzati e rinomati: il monopolio dei flussi turistici in quelle zone è notoriamente gestito da grandi villaggi turistici, residence, catene alberghiere in mano al grande capitale privato italiano.

La concentrazione dei turisti va di pari passo con altri fenomeni: speculazione edilizia, cambio d’uso dei terreni, corruzione, scempio dei paesaggi. La Sardegna oggi è una moda, è una speculazione pubblicitaria decisa a tavolino, con prezzi alle stelle, colate di cemento e fiumi di soldi. Fiumi di soldi che i turisti portano in Sardegna e che dalla Sardegna vanno via prima della fine dell’estate.

Il turismo, sebbene faccia parte del settore terziario, si fonda sullo sfruttamento di una risorsa, la bellezza paesaggistica, che non è rinnovabile. Anzi, è altamente deperibile, soprattutto quando non si pongono limiti o regole al suo sfruttamento. Quando tra alcuni anni l’invasione estiva di milioni di turisti e la speculazione edilizia avranno dissipato il nostro patrimonio paesaggistico, quando sarà finita la moda della Sardegna, a noi cosa rimarrà? Niente, come al solito.

La filiera energetica si compone dell’eolico, del nucleare e di una parte del comparto petrol-chimico, che produce energia dalla lavorazioni di scorie o scarti petroliferi, come la Saras, mentre non ne fanno parte aziende come Eurallumina, Alcoa o Vinyls, che l’energia la consumavano.

Siamo in una fase di transizione, in cui la chimica perde importanza e in cui le produzioni energetiche ne acquistano sempre di più. La produzione di energia ha una valenza strategica. Si tratta di una attività fortemente sovvenzionata dallo stato, in cui i guadagni sono garantiti. Anche qua si intrecciano gli interessi del grande capitale privato, dello stato.
In una prospettiva di indipendenza energetica, o di riduzione della dipendenza, si inseriscono anche progetti come l’eolico e il nucleare.

L’eolico, salutato come ultima frontiera del progresso, come salvifico produttore di energia gratuita, nell’isola si deforma: infiltrazioni di capitali mafiosi, corruzione. Lo stato finanzia la costruzione di parchi eolici mastodontici e pervasivi del territorio, per i quali comunque sono necessari capitali consistenti, i quali sono a disposizione dei grandi capitalisti del nord e dei mafiosi del sud. Chiaramente è il capitale privato a intascare i profitti, mentre il pubblico si avvantaggia raramente del costo ridotto di minori importazioni.

Riguardo al nucleare ci limitiamo a sottolineare il carattere non democratico riguardo la sua installazione. Il governo ha più volte fatto sapere che il parere delle regioni non sarà in alcun modo vincolante, tanto più che la corte di cassazione ha recentemente respinto il ricorso effettuato da varie regioni (la Sardegna non aveva fatto ricorso). L’idea manifestata è quella di operare militarizzando l’installazione delle centrali e dei depositi di scorie.

Tutte queste attività si possono riassumere in tre ambiti principali: la filiera turistica, la filiera militare e la filiera energetica. Abbiamo visto come queste attività necessitino di grandi spazi disabitati, di terra vergine. Sappiamo anche che queste attività necessitano di poca manodopera, con la parziale eccezione del turismo che ne richiede stagionalmente. Oggi, con l’avvento della post-modernità, si intravedono scenari sempre peggiori; le mono-colture odierne impediscono lo sviluppo di qualsiasi altra attività di rilievo, divorando il territorio e svuotandolo del suo tessuto economico e sociale.

Soddisfare gli interessi strategici dell’Italia, soddisfare gli appetiti immondi dei capitalisti-parassiti del nord e dei mafiosi del sud ha un prezzo, e quel prezzo lo devono pagare la Sardegna e i sardi. Il capitalismo italiano ha bisogno del suo spazio vitale.

Al di là degli interessi italiani, restano da misurare alcuni processi attualmente in corso, in primo luogo quelli di ordine demografico. Tra il 1991 ed il 2001 il 71,4% dei comuni della Sardegna hanno perso popolazione, 32 ne hanno perso più del 20%, e 115 tra il 10% ed il 20%. Le aree che hanno perso di più sono quelle centrali, interne e meno servite dalla viabilità. I poli di attrazione sono invece le aree attorno a Cagliari e Olbia.

Alla migrazione interna va ad aggiungersi la migrazione verso l’esterno della Sardegna, fenomeno che l’Istat non riesce a rilevare, in quanto si basa sul vecchio metodo della misurazione dei cambi di residenza, attualmente inadeguato. Altri studi però hanno utilizzato dei metodi più confacenti alla mutata situazione. Due ricercatori dello Svimez, analizzando anche la differenza tra le residenze e i luoghi di lavoro, hanno concluso che i flussi migratori attuali dal Mezzogiorno (comprendendo anche la Sardegna) sono tornati ai numeri del “grande esodo” del 1961-63.

Anche l’invecchiamento procede a passo spedito: nel 1992 gli ultrasessantacinquenni erano il 12,6% della popolazione, nel 2009 sono passati al 18,7%.

Questi fenomeni si verificano in molte aree dell’Europa, Italia compresa, ma in Sardegna sono chiaramente eccezionali. Sono talmente intensi da trasformarsi in qualcosa di qualitativamente diverso.

L’economia sarda è totalmente schiacciata su tre principali attività economiche imposte, che portano ad dinamiche demografiche dannose. La popolazione si sposta verso i centri di maggiore vitalità economica, nella speranza di avere maggiori possibilità, l’alternativa è l’emigrazione.

Il fatto che l’Italia sia schiacciata in mezzo alle molteplici pressioni della crisi accelera a sua volta le pressioni che lo stato imprime sulla Sardegna, come si è visto dalla rapina dei fondi regionali FAS attuata immediatamente dopo la caduta della Giunta Soru. Il federalismo fiscale combinato con la manovra di bilancio avrà un effetto dirompente nella riduzione della spesa pubblica in Sardegna. Questo comporterà necessariamente una fortissima accelerazione di tutte le dinamiche di impoverimento e spopolamento.

Per una trattazione più estesa e approfondita si rimanda al documento

La ragion di stato e il destino della Sardegna”.

settembre 2010

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