Il 14 settembre si terrà il primo congresso di Sardegna chiama Sardegna. Sono invitati a partecipare tutti gli interessati, non solamente chi è già nell’organizzazione.
Si chiama Congresso perché verrà discusso un documento politico-programmatico, un momento fondamentale della vita di una organizzazione politica.
Ma il Congresso, prima e soprattutto dopo, è molto di più.
È una sfida per gli aderenti. Poi è una sfida per chi aderirà.
Viviamo in una società travolta. Travolta dal caro vita, che ci sta facendo schiattare. Travolta dalla guerra continua ed il genocidio in Palestina. Travolta dai governi regionali che, ormai da molti lustri, non risolvono nessun problema e però riescono bene a dedicarsi a curare clientele.
Viviamo una società vecchia. Tra qualche decennio, con questi trend, la Sardegna sarà una società di anziani, che dovranno (re)imparare a vivere in comunità se vorranno sopravvivere. Noi (io sarò tra quelli) magari ce la caveremo, ma non ce vergogniamo neanche un po’? Non se ne vergognano i “politici di professione”? Che futuro è mai?
Viviamo una società del “si salvi chi può”, e le grandi organizzazioni di massa (?) nulla pare vogliano fare per rimettere in discussione questo senso comune. Non i sindacati, non la Chiesa, non Confindustria e le altre associazioni di categoria, non le istituzioni, non i mezzi di comunicazione.
I segnali di sconvolgimento esemplificati da Donald Trump contribuiscono a segnare una fase nuova, inedita.
I recenti summit di Tianjin e Pechino aprono spazi di felicità e benessere, se li sapremo cogliere e mantenere le nostre specificità in un mondo multipolare, anche per noi e i nostri figli.
In mezzo a tutto questo, lo scopo ultimo, profondo, di Sardegna chiama Sardegna è costruire una comunità politica non tenuta insieme dagli eletti, bensì da una azione collettiva, una visione collettiva, un impegno collettivo.
Una comunità di cambiamento collettivo, che passa necessariamente per un cambiamento individuale.
Riscoprire il piacere a non monetizzare il tempo non lavorativo, non diluirlo in consumo, “esperienze” e solitudine.
Per sconfiggere lo stra-potere di chi oggi detiene il potere, ancora una volta i chi non ha il potere deve stare insieme.
L’azione di amministratori e consiglieri, fosse anche di grande livello, da sola non basta. Occorre un senso comune, dare un senso alla politica.
Che poi è la ragione (questa mancanza di senso) per cui 9 sardi su 10, o forse più, quando sentono la parola politica pensano a qualcosa di sporco, brutto e disonesto.
Sardegna chiama Sardegna impegna un paio di nuove generazioni su questi temi e chiede alle altre, soprattutto quelle più anziane, grande generosità, forza d’animo e sostegno (anche economico).
Il documento politico è scaricabile qui, e chiunque è benvenuta/o il 14 settembre.
Per ora mi limito, sul documento politico, a presentare gli aspetti a mio parere più pregnanti:
- Un nuovo sardismo democratico, per unire singoli, organizzazioni e fronti politici tra loro diversi, ma convergenti;
- Una organizzazione di secondo livello, fresca, onesta e trasparente, che sia il perno di una coalizione sociale, economica e politica.
Se troveremo il tempo, approfondiremo questi ed altri aspetti di un atto che deve cambiare le nostre vite.
Il dibattito è aperto, a chiunque voglia esprimersi, in questo blog o in altre sedi.