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Centralità delle risorse umane – La Regione Sardegna. Di Fabio Atzeni

E’ un momento cruciale quello attraversato dalla nostra Regione, a seguito dell’emergenza sanitaria, anche sotto l’aspetto delle modalità di lavoro. Gran parte dei lavoratori della Regione Sardegna sono passati al lavoro a distanza, che probabilmente continuerà ad essere la modalità ordinaria ben oltre il 31 luglio.

Si tratta di un passaggio importante perché pur essendo stato affrontato a seguito dell’urgenza, ha permesso la sperimentazione su una “nuova” modalità lavorativa, per la quale erano state avanzate richieste di attivazione, ma che in misura significativa non aveva trovato un terreno fertile di sviluppo.

Considerato che forse ora non è neppure auspicabile un ritorno massivo al lavoro in presenza, ciò significa che le pubbliche amministrazioni (e le imprese) dovranno intraprendere scelte strategiche adeguate, per sostenere nel tempo un modo diverso di lavorare, basato su riorganizzazione dei processi, investimenti in tecnologie ma anche e soprattutto sull’importanza di fattori legati all’attenzione alla risorsa umana.

Una di queste caratteristiche è “il senso di appartenenza”, che deve essere riscoperto, quel senso di orgoglio di far parte di una comunità di persone che operano nelle pubbliche amministrazioni, per un generale interesse collettivo a far parte di una grande organizzazione di ambito regionale.

Quanto più una pubblica amministrazione o un’impresa avrà la capacità di costruire, sostenere e rafforzare il senso di appartenenza, tanto più ci saranno risultati positivi e si potrà realizzare valore pubblico in senso ampio. Per quanto riguarda il concetto di valore pubblico si rimanda ad un prossimo ed imminente articolo.

Partendo da questo presupposto si puo’ affermare con decisione che nel futuro, è sempre più centrale il ruolo delle “risorse umane”.

Prendersi cura dei propri collaboratori, del personale in generale, deve essere l’obiettivo strategico guida di ogni PA e azienda. In questo senso occorre “costruire” e/o “ricostruire” un rapporto di fiducia con il personale a partire dalle modalità condivise di costruzione delle regole dello smart working. Ciò significa pensare alla loro salute e sicurezza, al loro sviluppo professionale continuo e alla valorizzazione del merito.

Quindi le funzioni HR aziendali e pubbliche hanno una grande responsabilità ed una grande occasione, anche per mettere in campo azioni adeguate che devono partire dalla valorizzazione delle capacità professionali e dell’impegno, nonché da interventi strutturali in formazione.

Cosa fare?

Se si vuole affrontare in modo serio e rigoroso il tema dello smartworking nelle fasi successive della post emergenza, occorre puntare necessariamente su interventi formativi mirati, non solo per i collaboratori ma anche per tutti i livelli dirigenziali, in particolare sullo sviluppo di competenze trasversali, spesso trascurate e correlate con:

  • l’autonomia;
  • la fiducia in se stessi;
  • la flessibilità/adattabilità;
  • la resistenza allo stress;
  • la capacità di pianificare ed organizzare il lavoro;
  • l’essere responsabili del proprio aggiornamento professionale;
  • la capacità di lavorare per obiettivi e conseguire risultati;
  • lo spirito d’iniziativa;
  • la capacità comunicativa;
  • il team working;
  • il problem solving;
  • la leadership.

Senza queste competenze, difficilmente sarà facile passare da una cultura dell’adempimento (basata sull’orario di lavoro) ad una cultura del risultato (focalizzata sul raggiungimento di obiettivi misurabili e sfidanti), che si sposa pienamente con le metodologie del telelavoro e dello “smartworking”.

Da questo punto di vista è fondamentale il ruolo della “gestione delle risorse umane” per la definizione del progetto di smart working, l’accompagnamento alla gestione dello stesso e la valutazione dei risultati. Una dotazione di risorse umane dovrà quindi essere destinata a questa importante fase di attenzione alla risorsa umana.

I rischi

Non si possono certo trascurare i rischi dello smartworking, alcuni dei quali fanno riferimento alla salute, lo stress da lavoro correlato, la difficoltà di disconnessione, per i quali è importante definire una adeguata regolamentazione attuativa e quelli connessi con l’isolamento e il rischio di rimanere fuori dalle dinamiche organizzative e relazionali delle imprese e delle pubbliche amministrazioni.

Per mitigare il rischio dell’isolamento dalle dinamiche relazionali interne all’organizzazione è possibile favorire azioni di comunicazione anche a distanza. Bisogna rafforzare il rapporto tra dirigenti e collaboratori attraverso una visione d’insieme sugli obiettivi perseguiti e le relative ricadute, in termini anche sociali e di impatto sulla Regione delle attività lavorative svolte.

Nonostante questo, non è possibile pensare allo smartworking come attività da svolgere esclusivamente “fuori dall’ente”. E’ importante infatti garantire comunque dei momenti in ufficio, in presenza, in cui sia possibile stimolare anche gli incontri collegiali, che costituiscono “momenti importanti” della vita lavorativa, in cui il confronto tra le diverse posizioni, contribuisce a far crescere l’organizzazione attraverso la conoscenza implicita e il pensiero critico condiviso.

Per questo la vera sfida dello smartworking sarà sempre più orientata a raggiungere un bilanciamento dell’attività lavorativa in presenza e online, avendo cura di individuare metodi, processi e tecnologie che possano coniugare l’organizzazione del lavoro per obiettivi con la necessaria garanzia di una sostenibilità dei valori delle relazioni umane e della condivisione della conoscenza.


 Vedi qua gli altri articoli di Fabio Atzeni: http://www.enricolobina.org/situ/?s=atzeni&post_type=post


Un contributo di Guido Melis sul lavoro agile: https://www.associazione27dicembre1947.it/cominciare-dallo-smart-working-per-riformare-lamministrazione-di-guido-melis/?fbclid=IwAR3lp8UDMXVKTMAnFIoj5J7KSrmjVWf4J77U9y9l4FFmkx6SUmc_1yaAsu0