Da quando, alla fine del 2020, la società statale Sogin ha divulgato l’elenco dei 67 siti idonei ad ospitare il deposito unico per lo stoccaggio di circa 95.000 metri cubi di scorie nucleari italiane, non si sono levate molte voci a sostenere e difendere il risultato del loro lavoro; c’è stata invece in tutta Italia una sollevazione generale, seppure localizzata, nel senso che l’indignazione si riferisce solo ai siti individuati nella propria provincia o regione, non a quelli delle altre regioni italiane, che anzi si spera vengano alla fine prescelti: ognuno per sé, non tutti per uno.
In Sardegna, dove sono stati individuati 16 comuni dal territorio potenzialmente idoneo, il rifiuto del nucleare ha già una lunga storia alle spalle, per cui ora la sollevazione popolare è stata se possibile ancora più forte ed unanime rispetto a quella vista in tutte le altre Regioni sede di possibili localizzazioni: Piemonte, Lazio, Toscana, Basilicata, Puglia e Sicilia.
Ci sono forti ragioni per dire che le aree individuate in Sardegna non sono per niente indicate per la dislocazione di un sito di stoccaggio di rifiuti radioattivi, a causa innanzitutto dei rischi in fase di movimentazione e trasporto di scorie prodotte oltre il mare, e poi perché le popolazioni residenti nelle dolci colline della Marmilla, con i loro piccoli e ridenti paesini di antica tradizione agricola e recente vocazione turistica, non sarebbero in grado di reggere uno sconvolgimento così grande per un territorio così fragile. Si aggiungano anche le rivendicazioni – essenziali per i fautori dell’indipendenza della Sardegna – contro il colonialismo italiano che considererebbe l’isola alla stregua di una pattumiera.
Condividiamo in pieno; tuttavia, esaminata dal punto di vista degli ambientalisti, la questione non può essere accantonata in modo così semplice e categorico.
La SOGIN
In primo luogo non possiamo non riconoscere che la missione di Sogin sia nobile, ecco come si presenta nel proprio sito internet:
“Sogin è la società di Stato responsabile del decommissioning (smantellamento) degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, compresi quelli prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare. Attività svolte per garantire quotidianamente la sicurezza dei cittadini, salvaguardare l’ambiente e tutelare le generazioni future”.
Finalità che, come cittadini italiani ed europei, non possiamo certamente disconoscere né disprezzare.
Come aderenti alla Federazione dei Verdi, in particolare, abbiamo l’ambizione a far parte di una forza politica che ha a cuore le sorti del pianeta, la salvaguardia dell’ambiente, e che a tal fine propone azioni che evitino il sorgere dei problemi dell’inquinamento, del riscaldamento globale, della proliferazione degli armamenti, del pericolo nucleare, dei modi incontrollati e dannosi di produrre e di consumare, delle crescenti disuguaglianze sociali ed economiche. Ma, una volta sorti i problemi, siamo anche interessati a che vengano risolti, anche se curare è sempre più complicato che prevenire.
Un modo per non risolvere tali problemi è accantonarli, dare la colpa agli altri, rimandarli da un’altra parte o a tempi futuri, non sentirli propri. Ora, non c’è dubbio che le scorie nucleari debbano essere neutralizzate, in Italia per troppi decenni sono rimaste stoccate in depositi provvisori e non sicuri, in aree vicine a corsi d’acqua o soggette a inondazioni e terremoti.
È però altrettanto ovvio come sia opportuno un dibattito pubblico e trasparente, basato su studi scientifici rigorosi e indipendenti, per individuare il miglior modo di smaltire le scorie, e dove sistemarle per un tempo indefinito.
La scelta finale deve essere partecipata e condivisa pacificamente da tutti, pertanto non si riesce a capire perché finora la questione sia stata condotta in modo tanto segreto, oscuro e negativo, spaventando la popolazione e suscitando l’opposizione anche di tutte le forze sociali e politiche, comprese quelle fautrici in passato del Nucleare, e che mai si sono opposte alla presenza di bombe atomiche nel territorio nazionale (le bombe USA a Ghedi e Avian), e all’uso di ordigni ad uranio impoverito.
Ed è strano che cavalchino la protesta contro il deposito quelle forze politiche che nulla hanno detto e fatto contro gli esperimenti con l’uranio impoverito e il Torio nelle basi sarde di Teulada e del Salto di Quirra, o che hanno appena espresso parere favorevole allo stazionamento di navi e sommergibili a propulsione nucleare, dotati anche di bombe atomiche, nei porti sardi di Cagliari e La Maddalena; partiti guerrafondai al soldo dell’apparato industriale bellico-militare, per i quali una fabbrica di bombe costituisce un’impresa industriale come le altre, e se vanno a finire in zone di guerra non si sentono toccati minimamente.
Registriamo molte proteste a cose fatte, ma quasi nessun dibattito preventivo sulla metodologia adottata da Sogin e sulla soluzione prescelta in origine per risolvere la questione: un deposito unico per tutte le scorie radioattive, sia quelle a bassa attività radioattiva (78.000 metri cubi provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca) da stoccare a tempo indeterminato, sia quelle a medio-alta attività radioattiva (17.000 metri cubi), da stoccare nel deposito per un tempo provvisorio (ma comunque un arco di tempo fino a un centinaio di anni) fino a trovare per loro una collocazione definitiva “per sempre” in un sito di tipo geologico, probabilmente in caverna a grande profondità.
Eppure ci sono state a suo tempo, e tempestivamente, osservazioni e suggerimenti motivati da parte delle organizzazioni ambientaliste più serie; ad esempio Legambiente a Greenpeace hanno contestato innanzitutto la scelta del sito unico e l’assenza di una valutazione ambientale strategica per ciascun sito possibile, per giungere ad una fase di decisione partecipata e informata, in cui fosse la stessa popolazione ad indicare la soluzione migliore al problema che, ripetiamolo, necessita senz’altro di una decisione in tempi non biblici, vista l’inadeguatezza e la non sostenibilità dei siti di stoccaggio attuali.
Legambiente
Legambiente propone ad esempio di separare la sorte dei rifiuti radioattivi a bassa e media intensità (con tempi di dimezzamento inferiori a 30 anni, di origine medica, industriale e di ricerca), da quelli ad alta intensità radioattiva, per i quali propone un deposito europeo.
Greenpeace
Greenpeace pone invece l’accento sulle conseguenze nell’individuazione di un nuovo sito, un’altra area nuclearizzata che si aggiungerebbe a quelle già esistenti, vincolando a lungo termine territori suscettibili di ben altra valorizzazione, e propone di individuare i siti tramite la VAS e una procedura partecipata, quindi aperta e non imposta dall’alto.
È chiaro che senza il consenso dei cittadini non passerà mai una scelta così importante e delicata, a prescindere dal grado di sicurezza che il nuovo deposito potrebbe avere, al netto di trasporti aleatori, rischio terroristico e via dicendo. Guardando per un attimo solo all’aspetto economico, anche se fossero più d’uno i siti prescelti (uno per le scorie ad alta attività, uno per le scorie a bassa e media attività), si tratta comunque di un’occasione di lavoro e di sviluppo, che potrebbe essere appetibile per un comune a rischio di spopolamento, che dispone magari di aree industriali già degradate e desolatamente vuote.
In quest’ultima eventualità, la zona interessata sarebbe considerata come area ad alto rischio industriale, sottoposta a tutti gli accorgimenti di sicurezza, mentre il territorio circostante rimarrebbe nelle condizioni precedenti, sia dal lato paesaggistico che da quello produttivo, trattandosi di infrastrutture costruite con tutti i criteri di sicurezza e assenza del rischio di fuoriuscita di radiazioni.
Si tratterebbe di impianti che comportano un investimento stimato in centinaia di milioni di euro, accompagnati da centri di vigilanza, controllo e ricerca tecnologica che impiegherebbero centinaia di addetti specializzati.
Crediamo che fra tutte le località idonee dal punto di vista sismico e idrogeologico, possa emergere una comunità informata e responsabile che, valutati i pro e i contro, non si opponga in linea di principio all’idea di custodire nel proprio territorio, in modo idoneo e in piena sicurezza, residui come le lastre usate per le radiografie o per la radioterapia, i reagenti adoperati per il controllo delle Infrastrutture in cemento armato, insomma prodotti residui di attività a cui tutti ci sottoponiamo volontariamente e in modo informato, senza obiettare al loro uso anche sul nostro organismo.
Discorso diverso per le scorie ad elevata attività radioattiva, che dovrebbero a nostro parere trovare fin da subito una sistemazione definitiva in siti geologici profondi, come miniere abbandonate o simili, ancor meglio se in località individuate a livello europeo.
Tutto questo si può accompagnare tranquillamente alla dichiarazione di zona denuclearizzata del proprio territorio, intendendo la volontà di non accogliere nel consentire il passaggio di armi atomiche, mezzi a propulsione atomica, centrali nucleari, bombe contenenti Torio e Uranio impoverito. Si dimostrerebbe in tal modo di voler contribuire al progresso e alle esigenze civili e sanitarie del proprio Paese, senza avallare scelte portatrici di morte o di rischi di disastri legati all’energia nucleare, ma senza neanche nascondersi dietro un rifiuto a prescindere.
Ignazio Carta – Federazione dei Verdi, Cagliari