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Democrazia energetica per la Sardegna – di Ignazio Carta

Ignazio Carta torna sul tema della democrazia energetica. Buona lettura


Democrazia energetica per la Sardegna

E’ ormai condivisa a livello generale la necessità di realizzare il prima possibile la transizione energetica verso le energie rinnovabili, per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nell’atmosfera (CO2 in particolare) e mettere un freno al riscaldamento climatico del pianeta Terra.

Sarà un percorso lungo e difficile, non privo di contrasti. Si aggiunge ora a questo quadro la crisi energetica derivata dalle tensioni internazionali tra le potenze mondiali, acutizzata dall’invasione russa dell’Ucraina e dallo stato di guerra mascherato in Europa. I prezzi del gas e del petrolio alle stelle, e l’inflazione generalizzata che ne è seguita su tutti i prodotti, rendono ancora più urgente la sostituzione delle fonti fossili con quelle pulite rinnovabili, le uniche che possono mantenere un costo inferiore e stabile nel tempo.

Il Decreto del Presidente del Consiglio del 31 marzo scorso prevede di incentivare le energie rinnovabili, favorire la chiusura delle centrali a carbone con l’installazione di 500 MW di batterie di accumulo elettrico, l’attivazione di un nuovo cavo sottomarino di collegamento con la penisola (Thyrrenian-link), e di collegare la Sardegna alla rete nazionale del gas con navi metaniere e rigassificatori da collocare in 3 porti dell’isola, con parziale (per ora) equiparazione delle tariffe del gas per i cittadini sardi.

In questo quadro, vediamo in Sardegna i tentativi di grosse società di capitali di impadronirsi delle risorse energetiche dell’isola a scopo di speculazione e guadagno che finirebbe chissà dove, lasciando a noi l’alterazione del paesaggio, il consumo del suolo e il compito di pagare cara l’energia che consumiamo.

La risposta a questi tentativi deve essere una mobilitazione generale del popolo sardo per realizzare una piena autosufficienza energetica, e contemporaneamente una completa de-carbonizzazione, sostituendo in tempo reale le energie fossili con le energie pulite. 

Ed è qui che siamo chiamati a conciliare i nostri desideri per il futuro con il principio di realtà attuale. 

Le centrali termiche producono ancora in Sardegna quasi 10.000 GWh di energia elettrica all’anno.

In Sardegna consumiamo meno di 9.000 GWh di elettricità,e ne produciamo attualmente da fonti rinnovabili (idrica, eolica e solare) circa 3.000 GWh.

Dobbiamo senz’altro sostenere un modello di produzione democratica, con piccoli impianti a livello familiare e locale tramite le Comunità energetiche, che attualmente possono attivare ciascuna non più di 1 MW di potenza installata. Anche puntando a promuovere in breve tempo Comunità energetiche in ogni Comune dell’isola, sarà molto difficile raggiungere in tal modo un totale di 1.000 MWh di energia prodotta all’anno. Dobbiamo produrne almeno altri 6.000 MWh per sostituire tutte le fonti fossili e inquinanti.

Il nostro primo impegno deve essere per la chiusura di tutte le centrali termiche che bruciano combustibili fossili inquinanti, in primis la SARAS-Sarlux di Sarroch, la centrale Enel di Portovesme, la centrale del gruppo EP Power Europe di Fiumesanto – Porto Torres, e la loro sostituzione con energie rinnovabili autoprodotte dagli utilizzatori sardi: cittadini, enti pubblici e imprese locali, di loro proprietà o sotto il loro pieno controllo.

Il cavo sottomarino Thyrrenian-link può essere inutile se insieme alle Comunità energetiche manteniamo contemporaneamente le centrali fossili; ma è invece indispensabile se queste vogliamo dismetterle o riconvertirle alla produzione di energie pulite. Può essere un orpello coloniale o al contrario un mezzo per liberarci dalla dipendenza.

I moduli di accumulo con batterie elettriche, da alimentare con i picchi di produzione in esubero da fonti rinnovabili, vanno nel senso di liberarci di un equivalente produzione di energia da combustibili fossili.

Le società produttrici di energie fossili non verrebbero neppure tanto danneggiate se imporremo di chiuderle: si stanno preparando da tempo alla riconversione energetica, tant’è che ad esempio la SARAS ha in programma di installare 500 MW di potenza da rinnovabili entro il 2025, e in prospettiva produrre energia e idrogeno verde… 

Ci sono poi le esigenze dell’agricoltura, delle attività produttive. Se vogliamo evitare le speculazioni vecchie e nuove occorre puntare a iniziative imprenditoriali da parte dei cittadini sardi, da regolamentare in modo serio e preventivo.

Dobbiamo avanzare proposte concrete in tal senso, altrimenti il nostro impegno cadrà nel nulla, le iniziative andranno avanti comunque e saranno governate da altre logiche e interessi esterni.

Perché non inserire tra le nostre proposte e promuovere la costituzione di società per azioni a partecipazione diffusa, dove le famiglie sarde possano investire i propri soldi per impianti sia fotovoltaici che offshore, in siti da individuare in località idonee, senza intaccare il nostro paesaggio, il turismo, la vita delle persone? 

Perché rinunciare a produrre energia producendo un reddito equo per tutti noi, sfruttando il vento o il sole, energia che può essere utilizzata anche per produrre idrogeno verde, muovendo così in modo pulito caldaie domestiche, industrie e mezzi di trasporto, purché di nostra proprietà e col nostro controllo? 

La Sardegna può conoscere una nuova Rinascita, ma stavolta senza veleni.

La Regione sarda deve guidare la rinascita del popolo sardo, risanare tutte le aree inquinate, rendere la Sardegna un territorio a emissioni zero, dotarla di energia rinnovabile a sufficienza per una agricoltura senza veleni, una produzione di beni ad alta tecnologia per la quarta rivoluzione industriale, resa competitiva nelle aree industriali risanate e prive di emissioni di alcun tipo (Ottana, Porto Torres, Portovesme, Macchiareddu, Isili, Nuoro, Arbatax: ne abbiamo tante da rivitalizzare), fabbriche e trasporti dotati di forza motrice elettrica o a idrogeno verde, ferrovie potenziate ed elettrificate che collegano l’isola sia al suo interno che con l’esterno, e infine un turismo intelligente e curioso di scoprire un’isola-paradiso, non mordi e fuggi.

Il mare sardo è ampio centinaia di migliaia di Kmq, è un bene demaniale pubblico, è una ricchezza per la Sardegna, che è sbagliato privatizzare, anche se le spinte in tal senso sono fortissime: gli imprenditori stranieri hanno colto da tempo la sua potenzialità, e sono pronti a investire miliardi di euro nell’eolico offshore, impresa altamente costosa ma ancor più redditizia. La fame di energia dell’Italia oggi gioca a loro favore.

Consideriamo che per formare un parco eolico di 2.000 MW di potenza elettrica installata è sufficiente impegnare un quadrato di 10 Km di lato di superficie marina, un puntino nella carta geografica, che può essere localizzato a grande distanza dalla costa, in un tratto che sia assolutamente invisibile da terra e fuori da qualsiasi rotta navale o turistica. Si tratta di un’infrastruttura di preminente interesse pubblico, che apparterrebbe a noi tutti, non possiamo lasciarla accaparrare al primo che capita.

Non si tratta però di pochi soldi: ai costi attuali si può calcolare che occorrerebbero oltre 2 miliardi di euro di investimento per realizzarla: possiamo proporre di utilizzare allo scopo i fondi del PNRR, dei fondi strutturali europei, il FESR – Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, o del FSC – Fondo Sviluppo e Coesione… ma il risultato sarebbe che la Regione potrebbe rendersi autosufficiente nella produzione di energia, e fornirla ai suoi cittadini non dico gratis, ma quasi.

Oppure in subordine si può optare per una soluzione di compromesso, a regime misto pubblico-privato.

Considerato il sistema economico di mercato in cui siamo immersi e che non possiamo eludere, come anche le regole di tutela della concorrenza europee, in presenza di richieste di concessione presentate dai privati per decine di GW di parchi eolici offshore, si può valutare il project financing e mettere a gara al miglior offerente una quantità di energia molto inferiore alle richieste, di pochi GW, individuando in anticipo un’area idonea da offrire in concessione e affidando la realizzazione degli impianti all’impresa che si impegna a sostenere i costi dell’investimento, e a fornire l’energia al prezzo più basso.

Si realizzerebbero così un primo impianto che rimarrà da subito di proprietà pubblica, con i relativi ricavi, e un altro i cui ricavi consentiranno al concessionario di ammortizzare l’investimento, e successivamente tornerà nella proprietà pubblica con costi di manutenzione e ricavi ripartiti ma sempre vantaggiosi per il concessionario pubblico

Troviamo un esempio significativo nei vantaggi nella recente gara svoltasi in Portogallo, dove la società EDP Renewables ha offerto un prezzo di – 4,13 euro a MWh per un impianto fotovoltaico galleggiante nel bacino di Alqueva, un lago artificiale, con una perdita che compenserà con i guadagni di un altro impianto di pari potenza a mercato libero, dove quindi percepirà un prezzo di acquisto di + 240 euro a MWh.

Si tratta di fare un serio calcolo costi-benefici, ma con l’obiettivo di ottenere l’energia a un prezzo molto più basso rispetto a quello di mercato, con un vantaggio che la Regione dovrebbe rivendicare come introito per la Sardegna. Attuando tutte le sinergie possibili, l’energia nella nostra isola potrebbe essere fornita alle attività produttive a prezzi ridotti, a alle famiglie sarde a prezzi vicini allo zero.

Il DPCM del Governo è sicuramente insufficiente e contradditorio, frutto di un compromesso, ma va nella direzione giusta.

Sono previsti 3 rigassificatori, che dovranno comunque costituire una soluzione di ripiego e temporanea, da dismettere entro 10-15 anni. Dobbiamo opporci all’attracco delle navi gasiere nei porti vicini ai centri abitati, a causa della loro pericolosità potenziale; chiedere a gran voce una localizzazione sicura dopo rigorose valutazioni di impatto, e soprattutto che i rigassificatori vadano smantellati una volta terminato il loro compito.

Non è incluso per fortuna il gasdotto GALSI, che la Giunta regionale di Solinas e la maggioranza di centro destra chiedevano a gran voce, un’opera estremamente impattante e inutile che avrebbe creato ferite sul suolo dell’intera Sardegna. Abbiamo già a disposizione un’infrastruttura che può sostituire e rende inutile il gasdotto, ed è mille volte più utile: la rete ferroviaria.

Perché non inserire come assoluta priorità nei programmi politici regionali il potenziamento delle ferrovie sarde, da rinnovare, elettrificare e rendere a doppio binario, con diramazioni su tutto il territorio regionale?

In tutto il nord Europa si utilizzano i treni – anche trasportati sulle navi ro-ro – per il trasporto dei gas e combustibili liquidi. Possiamo farlo anche noi, con costi paragonabili alla realizzazione di un gasdotto con scavo sotterraneo di 270 chilometri (solo la linea principale), ma con utilità molto maggiore. 

Fra quindici anni, speriamo anche prima, ci libereremo dal gas, ma questo al momento è ancora indispensabile, e non si può sostituire da subito; pertanto si può trasportare in forma liquida con i treni, con carri cisterna, sfruttando le ore notturne; ma anche successivamente il treno potrà continuare ad essere utilizzato per trasportare idrogeno verde, il nuovo combustibile che per essere effettivamente pulito dobbiamo esigere sia prodotto esclusivamente con fonti rinnovabili. 

Il suolo pubblico come le ferrovie, le superstrade, le aree delle servitù militari costituiscono spazi utili a installare pannelli fotovoltaici in grandi quantità, senza impegnare terreni privati e senza intaccare ulteriormente il paesaggio.

La Germania, ad esempio, è orientata a coprire con pannelli fotovoltaici il 10% della superficie impegnata dalle sue autostrade.

Parliamo di potenzialità di diversi GW di potenza elettrica: abbiamo ad esempio in Sardegna le servitù militari più estese d’Italia: 12.000 ettari il poligono a terra del Salto di Quirra; 7.425 ettari il poligono di tiro di Capo Frasca; 7.200 ettari la base di Teulada; sono in totale 266,25 Kmq di superficie a terra interdette alle attività civili, senza parlare delle aree a mare interdette alla pesca e alla navigazione.

Sono sufficienti 500 ettari di terreno (5 Kmq, circa il 2% della superficie) per installare un impianto da 1.000 MW di potenza installata (da moltiplicare per il numero di ore di insolazione annua, circa 1.500 – 1.800 ore, fanno almeno 1.500 GWh di produzione annua). Con l’avvertenza che sotto quell’impianto potrà continuare ad essere praticata – o avviata – l’agricoltura e il pascolo.

Allo stesso modo, con l’agri-voltaico sostenibile è possibile rendere energeticamente autosufficiente l’agricoltura sarda. L’ultimo Censimento generale dell’agricoltura del 2013 ha rilevato in Sardegna una Superficie Agricola Utilizzata complessiva di 1.153.691 ettari. Ipotizzando di utilizzare sempre una superficie di riferimento di 500 ettari complessivi, raggiungiamo tale valore mettendo insieme i tetti di serre, capannoni e edifici agricoli, per raggiungere sempre 1.000 MW complessivi di potenza.

Ancora molti non sanno o non credono che sia possibile installare impianti fotovoltaici che consentono lo sviluppo di colture nel terreno sottostante, ma è realtà: le tettoie solari, collocate a un’altezza di circa 7-10 metri da terra, alternate in modo da lasciar passare la luce sufficiente alle colture, non sottraggono terreno all’uso agricolo, anzi il terreno rimane illuminato e mantiene maggiormente l’umidità, più protetto dal sole e dalle intemperie.

Dobbiamo vigilare sul rispetto del paesaggio e opporci alle speculazioni di chi agricoltore non è.
Ma dobbiamo essere aperti al nuovo, e possiamo farlo mantenendo sempre i principi e gli ideali di giustizia, equità e democrazia economica. In caso contrario il nuovo arriverà, e noi rischiamo di restare al punto di partenza, fermi a difendere il vecchio sistema.

A mio parere potremo affrontare i tempi che verranno soltanto affiancando ai gruppi di base l’azione politica dentro un movimento o partito che si prepari a presentarsi al giudizio elettorale dei cittadini elettori, e si candidi a rappresentare l’intera Comunità nel costruire un futuro di riscatto, benessere e giustizia sociale.

Io e altri, personalmente, abbiamo individuato questa entità in Europa Verde – Verdi Sardegna, presente a livello europeo con un programma ben definito, dove l’ambientalismo e la democrazia progressista sono al primo posto. Possono aderire tutti coloro che in Sardegna si battono per questi obiettivi.

Continuiamo a confrontarci, a riflettere e a migliorarci, e ad agire in modo positivo.

Ignazio Carta

09 aprile 2022