alessandra fantinel enrico lobina

Diamo i numeri – di Alessandra Fantinel

Il 17 febbraio 2021 il nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi, nel discorso di insediamento al Senato si è così espresso:

“Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia e lavoro”.

Caro Presidente non sono d’accordo con lei!

La sua squadra di Governo, che dai tempi che furono continua a chiamarsi Consiglio dei Ministri ma non delle Ministre, è costituito da 8 donne e 15 uomini. Si registra un importante squilibrio a favore degli uomini, che non può più essere giustificato! La “colpa” è sicuramente dei partiti politici che non le hanno fornito i nominativi delle Ministre, ma lei avrebbe dovuto porre un veto.

Concordo con quanto ha affermato la senatrice Valeria Valente, Presidente della Commissione di Inchiesta sul femminicidio, che così le ha risposto:

“La strada per la parità di genere è ancora molto lunga. Ci stupiamo perché durante la pandemia sono aumentate le violenze contro le donne? In questo Paese le donne sono una straordinaria potenza, ma come lei presidente Draghi ci ha ricordato, è ancora inutilizzata. Un divario tra uomini e donne, che se intreccia anche il divario territoriale, diventa insormontabile (…) Le donne fanno figli solo se lavorano, non se stanno a casa in attesa. Servono congedi parentali paritari, strutture sociali. Riconoscere il valore sociale della maternità significa farcene carico tutte insieme. (…) ci saremmo aspettati una maggiore quantità di donne ministre. È un vulnus che dobbiamo risolvere”.

Ebbene Presidente i dati sulla presenza delle donne nel mercato del lavoro, nella vita politica, sociale, economica e sportiva sono disastrosi.

L’ISTAT ci ricorda che in Italia siamo circa 60 milioni e il 51% della popolazione è donna. A dicembre 2020 per la fascia di età 15-64 anni, il tasso di occupazione maschile era del 67,5% contro il 48,6% di quello femminile; un tasso di disoccupazione dell’8,3% contro il 10% delle donne ed un tasso di inattività del 26,3% contro il 45,9% femminile. Le donne, parte del mercato del lavoro, sono quelle che subiscono maggiormente le crisi, che hanno lavori precari o non regolari, che risentendo delle assenze del welfare e per questo sono costrette ad abbandonarlo o a rinunciare alla ricerca.

Le donne sono anche assenti dalla scena politica. Assenza che si perde nella notte dei tempi. 75 anni fa, il 10 marzo 1946, votarono per la prima volta. A giugno dello stesso anno furono elette nell’Assemblea Costituente 21 donne (9 comuniste, 9 democristiane, 2 socialiste e 1 in rappresentanza della lista dell’Uomo Qualunque) su 556 componenti. Il 3% donne!

Di queste ventuno, 5 (cioè circa il 6%) furono chiamate a far parte della Commissione dei 75 che doveva redigere la Costituzione Italiana. Donne che hanno contributo e fortemente voluto l’introduzione di principi innovativi come l’uguaglianza, la parità tra i coniugi, la parità di accesso al lavoro, retributiva e di accesso alle carriere, spesso andando oltre le proposte del proprio partito.

Bisogna attendere trent’anni per vedere la prima Ministra della Repubblica, Tina Anselmi, che ebbe una delega al Lavoro da parte del Governo Andreotti e successivamente alla sanità.

Tre anni più tardi, Leonilde Iotti, divenne la prima Presidente della Camera dei Deputati. Dopo di lei, Irene Pivetti dal 1994 al 1996 e Laura Boldrini dal 2013 al 2018.

Nel 2018 Maria Elisabetta Alberti Casellati divenne la prima Presidente del Senato della Repubblica Italiana, tutt’ora in carica.

Dalla nascita della Repubblica non possiamo vantare alcuna Presidente del Consiglio dei Ministri né tanto meno Presidente della Repubblica.    

Ma quale è la situazione nelle Regioni? Attualmente c’è una sola Presidente, Donatella Tesei dell’Umbria, in quanto la sua collega Jole Santarelli, che rappresentava la Calabria, prematuramente deceduta, è stata sostituita da un Commissario (uomo). Due Regioni, il Molise e la Sicilia, non hanno neppure una donna nella Giunta. Solamente la Toscana presenta una compagine paritaria 50% uomini e 50% donne. Negli altri casi la presenza femminile oscilla tra il 14% (Abruzzo e Valle D’Aosta) che corrisponde ad una unità e il 40% nella Regione Lazio in cui ci sono 4 donne e 6 uomini.

Se analizziamo le deleghe, seppur con nomi differenti, prevalgono quelle riguardanti il welfare (famiglia, sanità, sociale), l’ambito educativo-formativo e le pari opportunità. Notiamo però alcune interessanti novità in ambito ambientale e mobilità. Elementi che ci aiutano a superare lo stereotipo che, non solo siamo poco presenti, ma quando ci siamo ci occupiamo di questioni a noi “affini”, ossia attinenti alla cura, all’assistenza e all’educazione.   

La presenza delle donne nelle cariche politiche e amministrative è regolamentata da diverse norme.

La legge n. 125 del 2012 promuove il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei Consigli e nelle Giunte di enti locali e nei Consigli Regionali. Stabilisce infatti che debba essere garantita la presenza di entrambi i sessi sia negli organi collegiali non elettivi che nelle aziende da esse dipendenti. Stabilisce il riequilibrio di genere nelle liste elettorali: cioè uomini o donne non devono essere rappresentati in misura superiore ai due terzi.

Da ciò un crescente numero di sindache e di componenti di Giunte e Consigli Comunali donne.

Ma la legge 125/2012 non interviene sulle Giunte Regionali, regolamentate invece dall’art. 1 della legge n. 20 del 2016. Il legislatore regionale è tenuto ad assicurare la promozione della parità di genere nell’accesso alle cariche elettive.

Nel caso di legge elettorale regionale che preveda di esprimere preferenze nei confronti delle/dei candidati:

  • la lista deve contenere un numero di uomini o donne non eccedente il 60% del totale;
  • l’elettrice/elettore che esprime due preferenze, una deve essere riservata ad una/un candidata/o di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze successive alla prima (cosiddetta doppia preferenza di genere).

Nel caso invece la legge elettorale non preveda la facoltà di espressione di preferenze, deve comunque imporre “l’alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale”.

Ancora la legge elettorale regionale che preveda collegi uninominali deve garantire “l’equilibrio tra candidature presentate col medesimo simbolo in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale”.

L’applicazione delle norme citate differisce tra Regioni a Statuto Ordinario e Speciale[1].

La legge n. 120 del 12 luglio 2011 ha regolamentato la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in borsa. L’obiettivo è favorire la presenza di donne ai vertici delle società commerciali e, in particolare, nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa. E’ sulla scia di questa norma che un gruppo multinazionale, la BNP Paribas, al fine di garantire una maggiore presenza di donne in occasione di eventi pubblici e mediatici (compresi dibattiti, panel di esperti e tavole rotonde) ha stabilito che ogni membro, firmatario della carta #JamaisSansElle, si impegna a non partecipare a iniziative – interne o esterne, in presenza o a distanza – che coinvolgano più di tre persone senza la presenza di almeno una donna.

La BNP Paribas ha messo in atto una strategia che anche nella vita quotidiana potremo attuare. Quanto sarebbe utile per “la causa” imporre che in occasione di incontri, dibattiti, convegni, seminari, ecc. la presenza maschile e/o femminile non superi il 60%? Ciò permetterebbe di vedere più donne in ambiti della cultura, della politica, dello sport e, forse, di non considerare la presenza come qualcosa di eccezionale. Perché la presenza delle donne in alcuni ambiti è ancora oggi un evento  straordinario. L’elezione o la nomina di una donna è accompagnata da un interesse diffuso sulla sua vita privata o sul capo di abbigliamento indossato ….. elementi non propriamente oggetto di interesse quando sulla scena ci sono gli uomini …..

Sono ancora pochissime le donne dirigenti sportive o componenti del CONI. E’ proprio dal mondo sportivo che ci arriva un recente vergognoso fatto di cronaca che ha come protagonista una giovane atleta, Lara Lugli. La pallavolista è stata accusata di aver deciso di diventare mamma e di non aver opportunamente comunicato, al momento dell’ingaggio, la sua intenzione di volere figli. Le atlete italiane sono considerate dilettanti e diventano professioniste solo quando, come dice la legge 91 del 1981, sono riconosciute tali dai Club e dalle Federazioni. Quindi da dilettanti non sottoscrivono un vero contratto di lavoro (che pare venga stracciato quando subentrino eventi non previsti, quali la maternità) ma una scrittura privata senza tutele e diritti. 

La storia ci racconta e insegna che chi ha rappresentato, amministrato e gestito l’Italia era uomo. E che ci sono stati periodi e ambiti in cui le donne non erano neppure minimamente rappresentante. Ciò significa che la nostra politica, e di conseguenza tutta la nostra vita (sociale, economica, lavorativa, ecc.) è stata viziata da una visione al maschile. La democrazia non è un gioco alla pari, almeno in Italia, ma a svantaggio delle donne, che comunque votano e sono cittadine attive. La presenza sia di uomini che di donne nei “luoghi di potere” permette di avere prospettive diverse, perché viviamo in modo diverso e affrontiamo diversamente le sfide della vita.

Una democrazia non è tale se prevale, sempre e comunque, il pensiero di una parte della popolazione, che nel caso italiano è persino numericamente inferiore. Non si potranno mai soddisfare le esigenze di tutt* se il pensiero dominante è quello maschile. 

Quindi, caro Presidente Draghi, i numeri fanno la differenza. E’ la base della democrazia garantire la corretta rappresentanza in tutti gli ambiti della vita pubblica di donne e uomini.

L’emancipazione femminile è un grande tema che non dobbiamo trascurare. Le iniziative rivolte alle donne non devono essere la desinenza in A di quelle che riguardano i maschi” diceva Palmiro Togliatti negli anni ‘40 del 900.

Partiamo dal linguaggio ma continuiamo imponendo quote, numeri e percentuali. Abbiamo provato a cambiare le cose senza le riserve e non ci siamo riuscit*, proviamo in un altro modo.

Magari cambiando prospettiva avremo un mondo migliore. Almeno proviamoci!


[1] NOTA BREVE: La parità di genere nella legislazione elettorale regionale Servizio Studi del Senato