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Sardegna: la modernità loro, la ricchezza loro.

Il Fatto Quotidiano ha ospitato questo mio contributo. Ve lo propongo. Aggiungo solamente che, a scanso di equivoci, io voglio la transizione energetica, e mi sento vicino a Fridays For Future e Ultima Generazione. La Sardegna, però, ci deve guadagnare e non perdere, come sta accadendo

Ci sono molte sarde e sardi che sentono nella loro vita la rabbia per secoli di sfruttamento, che per alcuni è stato progresso, e se fosse esistita l’oggettività forse lo sarebbe stato per tutti. Ma la localizzazione dei fatti, nel mondo reale, concreto, ha una sua importanza. Il rapporto centro-periferia è quasi tutto, nel mondo moderno e contemporaneo.

Ci sono molte sarde e sardi, invece, che vivono da stranieri in casa loro, che non conoscono e non vogliono conoscere la loro terra, spesso vivono di autorazzismo, e moriranno così. Alcuni, una piccola minoranza, quasi tutte élite dirigenti, sono stranieri in casa loro perché a loro conviene, ci guadagnano.

Nell’ottocento la ferrovia era il simbolo di progresso. Ed era vero. La locomotiva correva, correvano le merci, e correvano anche le idee. La Sardegna venne disboscata perché la legna serviva per fare le traversine un po’ dappertutto nel Regno di Sardegna e in Italia, tranne che in Sardegna.

Ancora oggi la ferrovia arriva sulle coste e in quelle zone dove faceva comodo a chi aveva le miniere. In generale, il trasporto su ferro in Sardegna non è paragonabile a ciò che si trova in Europa o in Italia.

Poi sono arrivate le miniere. Il carbone e tutti gli altri risultati dell’estrazione erano simbolo di industria, di benessere, di progresso. Ed era vero. Peccato che il progresso attraversava il mare, e da noi rimanevano la fatica, le malattie, gli eccidi, oggi l’inquinamento e le bonifiche (che non si fanno).

Nel dopoguerra è arrivata l’industria chimica ed il petrolio. Tutto necessario ed utile, il petrolio e la chimica ci hanno fatto entrare nel fantastico mondo della società dei consumi, delle vacanze, dei supermercati e dei sacchetti plastica. È stata una tappa obbligata per il benessere generale. Lo è stato per gli altri. La chimica ha lasciato qua l’inquinamento, sociale oltre che ambientale, e poco altro. Nessuna verticalizzazione ha avuto luogo. Il petrolio, con una delle più grandi raffinerie d’Europa, e migliaia di buste paga, ancora è in piedi. La benzina i sardi la pagano quanto gli altri, e qualche dubbio sulle questioni ambientali rimane.

Mentre si fa la terza guerra mondiale, il nuovo orizzonte del progresso è la “transizione ecologica”. Sono d’accordo. La lotta al cambiamento climatico, qui ed ora, è la priorità.

Però perché si parte sempre dai sardi, per imporre loro il “progresso”, e portare fuori la ricchezza che il progresso produce?

Succede, infatti, che Giorgia Meloni e tutte le classi dirigenti vogliano realizzare la “transizione ecologica” rendendo la Sardegna il luogo di produzione di energia “pulita” che permetta al nord Italia ed alle aree ricche d’Europa di continuare a produrre.

Metano, pale eoliche enormi, a terra e a mare, mega parchi fotovoltaici, che sfornano centinaia di milioni di euro di guadagni che vanno tutti fuori dalla Sardegna, dovrebbero essere localizzati in Sardegna. Qualche sardo ci guadagna (noccioline) dall’affitto dei terreni, e qualche altro dalla guardiania, i trasporti, le manutenzioni etc.

Ci basta? È questo il progresso?

Da qualche tempo la Sardegna è attraversata da decine di comitati di persone “progressiste”, che cioè vogliono il progresso, ma lo vogliono anche per sé stessi, le loro figlie ed i loro figli.  Non vogliono una “transizione ecologica” che, come il disboscamento dell’ottocento, lasci qua le macerie e porti progresso per tutti ma non per i sardi. È così difficile capirlo?